— 279 —
Per trattare in modo esauriente del rapporto che intercorre tra Sesto
e la
tradizione scettica, sarebbe necessario affrontare e risolvere in via
preliminare
una serie complessa di problemi in relazione tra loro, ciascuno
dei quali tuttavia
esigerebbe un’indagine a sé stante.
In questo studio, che si presenta per necessità alquanto limitato negli
obiettivi e
i cui risultati richiederanno ulteriori verifiche, mi propongo:
(1) di mettere a
fuoco, in termini generali, alcune di quelle che mi paiono
le principali questioni
sollevate dal rapporto tra Sesto e la tradizione scet-
tica; (2) di analizzare l’uso
che Sesto fa dei nomi usati per indicare gli
Scettici; (3) di segnalare alcuni brani
nei quali, in questa fase della ricerca,
mi sembra si manifestino con più evidenza
le tracce ο dell’intervento per-
sonale di Sesto ο della presenza di materiale
risalente alla più antica tradi-
zione pirroniana.
È opportuno premettere che, per studio del rapporto tra Sesto e gli
Scettici, si
intende in questa sede principalmente l’individuazione di mo-
menti di uno sviluppo
storico all’interno della tradizione scettica, e non
l’analisi delle argomentazioni
scettiche così come si presentano in Sesto,
in quanto patrimonio dello scetticismo.
Questa precisazione appare necessaria perché la sua opera
costituisce,
essenzialmente, un repertorio di argomentazioni volte a
controbilanciare
— 280 —
le teorie dogmatiche per ottenere l’isostenia da
cui nasce la sospensione
e la conseguente imperturbabilità. In questa prospettiva,
ciò che conta
è soprattutto l’argomentazione e la sua efficacia, non colui che se ne
ser-
ve; l’intento primario di Sesto non è di far emergere il proprio
contributo
personale, ma di esibire lo scetticismo all’opera, offrendo gli
strumenti
necessari a combattere il dogmatismo, in tutte le molteplici forme in
cui
esso si è manifestato ο può manifestarsi. Il modello sembra essere
quello
della pratica della medicina, dove ciò che conta è la descrizione dei
vari
tipi di malattie e l’applicazione degli opportuni rimedi, non il nome
di
chi, nel corso del tempo, li ha escogitati ο messi in opera per la
prima
volta.
Così, mentre le citazioni degli avversari, cioè dei filosofi dogmatici,
abbondano,
non solo per quanto riguarda l’esposizione dei contenuti, ma
anche per quanto
riguarda i nomi dei filosofi che hanno avanzato questa
ο quella teoria, non
altrettanto si può dire che avvenga nel caso degli
Scettici.
La folla dei filosofi dogmatici e delle loro opinioni si presenta infatti
già di per
sé, non diversamente dalla infinita varietà di usi, costumi, per-
cezioni, come
riprova di una discordanza insuperabile. D’altra parte, Se-
sto deve anche mostrare
che per quanto si cerchi, per quanto varie siano
le tesi, nessuna regge agli
attacchi dello scettico; quanto più esaustiva
è la serie delle teorie dogmatiche che
vengono passate in rassegna e scon-
fitte, tanto maggiore è il successo dello
scettico.
Per poter confutare in modo efficace le opinioni dogmatiche occorre
che se ne colga
l’ἔννοια, e dunque è necessario esporle in modo ampio
e preciso. Ma non si deve mai
perdere di vista il fatto che, mentre la
caratteristica tipica dei dogmatici è la
περιεργία, l’affaticarsi in eccesso
e del tutto vanamente a escogitare teorie in
ogni ambito dello scibile e
su ogni dettaglio1,
lo scettico aspira ad ottenere un risultato massimo
— 281 —
con il minimo dei
mezzi perché non vuole farsi trascinare sullo stesso
terreno degli avversari2; il suo obiettivo è dunque quello di
individuare
ed impiegare le armi più efficaci a minare alla base le costruzioni
nemi-
che3; talora tuttavia sarà necessario concedere alcune
premesse all’av-
versario per mostrare che anche ciò che ne consegue è esposto alla
critica
scettica4. Il fatto che spesso la discussione delle tesi
generali sia seguita
da quella delle tesi particolari ο che ne dipendono nasce
dall’esigenza
di ottenere a scopo persuasivo, anche sul piano della quantità,
quell’equili-
brio che, sul piano meramente razionale, è già stato raggiunto dalla
critica
all’argomento più generale5.
Un’indagine che si proponga come obiettivo di ricostruire, per
quanto possibile, i
momenti storici della discussione tra gli Scettici e
i dogmatici dovrà trovare il
modo di andare oltre il quadro di insieme
offerto da Sesto. In primo luogo, dovrà
cercare di rispondere a questa
domanda: posto che dogmatici e Scettici si
confrontano in una sorta
di dibattito, dove argomenti, controargomenti, nuovi
argomenti e nuovi
controargomenti vengono esposti in successione, in quali casi si
tratta
di una successione meramente concettuale, dominata dall’intento di
at-
tualizzare la discussione, e in quali si può pensare ad una
successione
storica?
Mi limiterò a citare due dei molti esempi possibili; il primo è costi-
tuito
dall’inizio di PH
ii, dove viene esposta l’obiezione di parte dogma-
tica (φασὶ
γάρ κτλ.) relativa al fatto che lo scettico ο καταλαμβάνει
— 282 —
ciò di cui si parla
oppure no. Quanto segue mostra che gli avversari di
cui si parla sono Epicurei e
Stoici6, e forse soprattutto questi
ultimi:
contro quali Scettici erano rivolte le accuse di parte dogmatica, e a
quan-
do risalgono? La replica di Sesto è incentrata sui tropi della
discordanza
e del diallelo, e dunque rientra pienamente nell’alveo pirroniano, ma
che
cosa siamo in grado di dire sul momento d’origine della polemica7?
Analogo interrogativo sollevano i primi paragrafi di M
iii. Qui, la
trattazione contro i geometri prende le mosse dal
problema delle “ipote-
si” di cui essi si servono per le loro deduzioni; subito
all’inizio viene
citato Timone, a conferma del fatto che è giusto usare anche per le
confu-
tazioni dei geometri il metodo che deve essere usato in generale contro
i
fisici:
καὶ γὰρ ὁ Τίμων ἐν τοῖς πρὸς τοὺς φυσικοὺς τοῦτο ὑπέλαβε δεῖν ἐν
πρώτοις ζητεῖν,
φημὶ δὲ τὸ εἰ ἐξ ὑποθέσεως τι ληπτέον.
Segue una serie di argomenti di critica all’uso di ipotesi; quindi, ven-
gono
esposti degli argomenti riguardanti i principi fondamentali su cui
la scienza si
basa, a cominciare dal punto (§ 19 sgg.) del quale si offre
una definizione che
viene sottoposta a critica; infine (§ 28), appare la
menzione di Eratostene:
ἀλλ’ εἰώθασι πρὸς τὰς τοιαύτας ἐπιχειρήσεις ὑπαντῶντες οἱ περὶ τὸν
Ἐρατοσθένη
λέγειν ὅτι τὸ σημεῖον οὔτε ἐπιλαμβάνει τινὰ τόπον οὔτε
καταμετρεῖ τὸ διάστημα τῆς
γραμμῆς, ῥυὲν δὲ ποιεῖ τὴν γραμμήν.
Sembra di poter ricavare dall’insieme del brano che la definizione
di punto esposta
al § 19 fosse di Eratostene, e che egli la difendesse con-
tro gli attacchi
descritti da Sesto. Se così fosse, e non si trattasse di mate-
riale accademico,
esso potrebbe risalire, almeno nelle linee generali, al
— 283 —
pirronismo antico (benché la
modalità della citazione di Timone all’inizio
del libro non induca facilmente a
pensare che egli sia la fonte di tutto
quanto segue).
Ma, forse più di ogni altra cosa, la condizione preliminare necessaria
per valutare
nel modo più soddisfacente il rapporto tra Sesto e la tradi-
zione filosofica a cui
egli si riallaccia sarebbe quella di poter disporre
di alcune conoscenze non facili
da acquisire: prima di tutto, dovremmo
avere più familiarità con la personalità di
Sesto come autore, per indivi-
duare ciò che gli appartiene e ciò che non gli
appartiene. Poco ο nulla
sappiamo di lui come persona, e quel poco che sappiamo è
controverso
(adesione all’empirismo ο al metodismo, per fare l’esempio più noto).
Ma,
pur servendocene molto, troppo poco conosciamo anche la sua opera.
Mentre
questi ultimi anni hanno visto un fiorire di studi filosofici sulle
argomentazioni,
manca a tutt’oggi una ricerca sistematica sulla lingua e
lo stile di Sesto, che sia
in grado di offrire strumenti di riferimento per
valutare il suo modo di citare e
manipolare le fonti. Mi limiterò a fare
alcuni esempi.
- — la presenza di termini rari ο attestati solo in determinati periodi
storici; - — l’occorrenza di specifiche forme linguistiche nelle parti espositive,
in quelle argomentative ο nei brani di raccordo; - — la presenza di hapax legomena attestati solo in Sesto; essa
può
indicare scelte stilistiche personali di Sesto ο della sua fonte; - — le caratteristiche della lingua e dello stile in relazione alla lettera-
tura contemporanea (ad esempio la predilezione per le forme composte
con due preposizioni, per gli aggettivi verbali, ecc.); - — la reale incidenza di quello che Janáček ha chiamato il gusto per
la variatio8 - — tutti i brani in cui Sesto sembra esprimere giudizi di carattere
personale; le parti proemiali; gli epiloghi dei vari libri9.
— 284 —
Solo allorché queste esigenze cominceranno a venire soddisfatte, sarà
possibile
formulare su Sesto giudizi meno impressionistici, sottoporre a
seria verifica i
luoghi comuni della storiografia sullo scetticismo e arric-
chire realmente le
nostre informazioni10.
La mancanza di riferimenti cronologici sicuri, sia per la sua vita,
sia per la
stesura delle opere e i loro reciproci rapporti11, rende difficile
collocarlo con precisione rispetto al quadro
concettuale nel quale si muo-
vono personaggi come Plutarco, Favorino, Luciano,
Galeno, Menodoto,
Teodosio, le anonime fonti di Diog. Laert. ix e di Clem. strom.
viii 5
e 7. Ancora più complesso è stabilire dove, in che
misura e tramite
quali mediazioni Sesto dipenda da autori legati alla tradizione
scettica,
ma più lontani nel tempo: Agrippa, Enesidemo, Timone.
— 285 —
È chiaro che questa indagine, data la perdita di quasi tutta la lettera-
tura
precedente e parallela, difficilmente potrà pervenire a risultati defini-
tivi. Ma
una maggiore attenzione al dettaglio, tenendo presente il quadro
generale, può
offrire utili elementi per distinguere i caratteri propri dello
scetticismo di Sesto
prima di tutto, e quindi anche per ricostruire in modo
più soddisfacente lo sviluppo
storico della tradizione pirroniana.
In una situazione in cui l’identità di intenti prevale sulle differenze,
dove il
contributo personale del singolo tende a passare in secondo piano
rispetto al
successo dell’impresa a cui partecipa, qualunque dato che aiuti
a spezzare il
monolito scettico potrà servire ad individuare e ricostruire
almeno qualche aspetto
delle molte stratificazioni che costituiscono il pir-
ronismo.
Posta la presenza nella storia dello scetticismo di due diversi indi-
rizzi, quello
accademico e quello pirroniano, è necessario stabilire se Sesto
distingua sempre tra
i due, o, se non è così, quale sia il livello di intera-
zione. È evidente che non è
possibile ricostruire ciò che è specificamente
pirroniano, e tanto meno cogliere lo
sviluppo del movimento, se non si
è in grado di assegnare al pirronismo quello che è
del pirronismo, all’Acca-
demia quello che è dell’Accademia. E questo appare un
compito in appa-
renza abbastanza semplice, ma in realtà estremamente difficile.
L’elemento più ovvio che garantisce il riferimento a materiale acca-
demico è la
presenza del nome di singoli Accademici ο del termine
Ἀκαδημαϊκοί12, che all’epoca di
Sesto indicava inequivocabilmente la
fase scettica della scuola platonica13.
— 286 —
La questione della differenza tra i due indirizzi scettici ha occupato
a lungo sia
gli antichi sia i moderni. In questa sede mi limito a richiamare
soltanto i passi in
cui Sesto sottolinea in modo esplicito la differenza
tra Accademici e Pirroniani.
Semplificando, si può dire che essa riguarda
principalmente
- (1) il problema del “dogmatismo negativo” (PH i 1-3; i 226);
- (2) il compromesso che il ricorso al πιθανόν comporta rispetto allo
scetticismo rigoroso (PH i 226 sgg.); - (3) alcuni aspetti di metodo.
Il primo punto sembrerebbe offrire uno strumento facile per indivi-
duare le
differenze; ogni volta che siamo di fronte ad asserzioni negative
di carattere
generale (“metadogmatiche”) del tipo “nulla è comprensi-
bile”, ecc. si tratterebbe
di materiale accademico. In realtà non è affatto
così perché Sesto ci informa
esplicitamente che, anche se talora per bre-
vità lo scettico usa forme negative che
sembrano avvicinarlo ai dogmatici
(“positivi” ο “negativi” che siano), si deve
sottintendere la corretta
espressione scettica (cfr. PH
i 200); quanto ad asserzioni negative su og-
getti
particolari, valga come esempio un caso come PH
ii 6914, dove
si
conclude: ὥστε καὶ διὰ ταῦτα ἀνύπαρκτον ἄν εἴη τὸ κριτήριον τὸ δι’
οὗ. Questo
deve essere valutato alla luce di quello che verrà detto in
PH
ii 79; gli argomenti negativi usati dallo scettico non vengono
presen-
tati come veri, basta che essi abbiano valore persuasivo, cioè che
siano
in grado di costituire un efficace contrappeso rispetto a quelli dogmatici:
εἰδέναι δὲ χρὴ ὅτι οὐ πρόκειται ἡμῖν ἀποφήνασθαι ὅτι ἀνύπαρκτόν ἐστι
τὸ κριτήριον [τὸ]
τῆς ἀληθείας (τοῦτο γὰρ δογματικόν)· ἀλλ’ ἐπεὶ οἱ
— 287 —
δογματικοὶ πιθανῶς δοκοῦσι κατεσκευακέναι ὅτι ἔστι τι κριτήριον
ἀληθείας, ἡμεῖς αὐτοῖς
πιθανοὺς δοκοῦντας εἶναι λόγους ἀντεθήκαμεν,
οὔτε ὅτι ἀληθείς εἰσι διαβεβαιούμενοι
οὔτε ὅτι πιθανώτεροι τῶν ἐναν-
τίων, ἀλλα διὰ τὴν φαινομένην ἴσην πιθανότητα τούτων
τε τῶν λόγων
καὶ τῶν παρὰ τοῖς δογματικοῖς κειμένων τὴν ἐποχὴν συνάγοντες15.
È opportuno soffermarsi un poco più a lungo sul punto (3).
Si tratta di un punto centrale su cui tornerò, sia pur brevemente,
più avanti. Per
ora basti osservare che questo modo di procedere, se non
consente di caratterizzare
le asserzioni negative come accademiche, aiuta
però a distinguere Accademici e
Pirroniani per quel che riguarda il punto
due, cioè per l’uso del πιθανόν, che
appare qui rivolto essenzialmente
al destinatario, e non riguarda né la condizione
gnoseologica del soggetto
scettico che elabora l’argomento né il grado di
approssimazione al vero.
In Μ vii 262, dopo aver esposto la διαφωνία sul
criterio e le posizioni
dei singoli filosofi, Sesto sottolinea l’importanza di
adottare, nella critica,
un atteggiamento adeguato:
πειρασόμεθα <οὖν> κατὰ τὸ δυνατὸν ἑκάστη τῶν τοιούτων στάσεων τὰς
ἀπορίας
ἐφαρμόττειν, ἵνα μὴ κατ’ ἄνδρα πάντας τοὺς κατηριθμημένους
φιλοσόφους ἐπιόντες
ταυτολογεῖν ἀναγκαζώμεθα.
In Μ
ix 1, Sesto contrappone esplicitamente il metodo scettico
a
quello accademico. Passando ad affrontare la fisica, egli dichiara che
adot-
terà lo stesso metodo usato per la logica:
τὸν αὐτὸν δὲ τρόπον τῆς ζητήσεως πάλιν ἐνταύθα συστησόμεθα, οὐκ
ἐμβραδύνοντες τοῖς
κατὰ μέρος, ὁποῖόν τι πεποιήκασιν οἱ περὶ τὸν
Κλειτόμαχον καὶ ὁ λοιπὸς τῶν
Ἀκαδημαϊκῶν χορός (εἰς ἀλλοτρίαν γὰρ
ὕλην ἐμβάντες καὶ ἐπὶ συγχωρήσει τῶν ἐτεροίως
δογματιζομένων ποιού-
μενοι τοὺς λόγους ἀμέτρως ἐμήκυναν τὴν ἀντίρρησιν), ἀλλὰ τὰ
κυριώ-
τατα καὶ τὰ συνεκτικώτατα κινοῦντες, ἐν οἷς ἠπορημένα ἕξομεν καὶ
τὰ
λοιπά.
— 288 —
Segue il celebre paragone dell’assedio, per vincere il quale occorre
abbattere le
fondamenta delle fortificazioni, quindi viene esposta una si-
militudine tratta
dall’ambito della caccia16.
Interessante è il fatto che qui, riferendosi agli Accademici, Sesto usi
il perfetto
(ὁποῖόν τι πεποιήκασιν), che indica la presenza della prospet-
tiva
storico-temporale così come avviene per οἱ ἀπὸ τοῦ Πύρρωνος in
Μ
i 1-6 (su cui cfr. infra, § 11), mentre si
serve normalmente del presente
allorché riporta argomentazioni specifiche,
accademiche ο scettiche.
In Μ
viii 337 a, nel capitolo che sottopone a critica la
dimostrazione,
Sesto osserva:
ἐπεὶ δὲ ἐμμεθόδους προσήκει ποιεῖσθαι τὰς ἀντιρρήσεις, ζητητέον τίνι
μάλιστα δεῖ
ἀποδείξει ἐνίστασθαι. καὶ δὴ ἐὰν μὲν ταῖς ἐπὶ μέρους καὶ
καθ’ ἑκάστην τέχνην ἀποδείξεσιν
ἐνίστασθαι θέλωμεν, ἀμέθοδον ποιη-
σόμεθα τὴν ἔνστασιν, ἀπείρων οὐσών τῶν τοιούτων
ἀποδείξεων.
Viceversa, prosegue Sesto, se si attacca la dimostrazione in gene-
rale, che
comprende quelle particolari, verranno eliminate tutte le dimo-
strazioni 17.
Il concetto di comprensività (σκεπτικώτερα, καθολικώτερα, κυριώ-
τατα,
συμπεριγράφειν PH
i 206; ii 84 bis, iii
1) che appare in questi
passi è un tema ricorrente in Sesto18.
Ciò che è più generale e fondativo, se
eliminato, porta con sé il resto (Μ
iii 18). Il paragone dell’assedio compare,
con uguale rilievo
metodologico, in ΡΗ
ii 84, Μ
i 40.
Analogamente, il tema della lunghezza, della misura, torna con fre-
quenza in tutte
le opere19, e dunque è
qualcosa che per Sesto è molto im-
— 289 —
portante, anche se non sempre egli sembra
applicare nei fatti ciò che pre-
dica in teoria. In Μ vii 435 conclude un dibattito tra Stoici e Scettici
con queste
parole:
πάρεστι δέ, εἴ τινι φίλον εστί, καὶ τὰς ἄλλας ἀπορίας τὸν ἀντερωτῶντα,
ὡς ἔθος
ἔχουσιν αὐτοὶ τοῖς σκεπτικοῖς <...>20 προσάγειν· δεδηλωμένου
μέντοι
τοῦ κατὰ τὴν ἐπιχείρησιν χαρακτῆρος οὐκ ἀνάγκη μακρηγορεῖν.
Si tenga presente, subito dopo, il σύντομος λόγος che sarà sufficiente
contro gli
Accademici.
In termini generali, si può certamente scorgere nell’insistenza su que-
sto punto
l’esigenza di differenziarsi da uno scetticismo che muove dalla
premessa
dell’avversario, qualunque essa sia e qualunque carattere essa
abbia, senza aver di
mira l’insieme della teoria dogmatica e dunque la
connessione logica che lega le
singole asserzioni del sistema; forse però,
oltre alla mancanza di limite e dunque
all’eccessiva lunghezza delle criti-
che scettiche che questo procedimento può
generare, Sesto mette in guar-
dia contro di esso anche per paura che lo scettico
possa essere scambiato
per un particolare esemplare della razza dei dogmatici, colui
che in appa-
renza più gli assomiglia: il dialettico21.
Questo insieme di considerazioni può forse aiutarci a chiarire un par-
ticolare
problema: il modo in cui, in PH
i 180-186, vengono presentati
gli otto tropi di Enesidemo
contro le spiegazioni causali.
— 290 —
Sesto introduce la trattazione in maniera caratteristica, facendo men-
zione del
contributo di “alcuni” Scettici, ma richiamandosi subito alla
tradizione scettica
nel suo complesso (ἐφιστώμεν); una volta trovati, infat-
ti, gli strumenti scettici
diventano patrimonio comune dell’indirizzo. Tut-
tavia, alcuni indizi mostrano che
Sesto sembra mantenere verso questi
specifici tropi un certo distacco, per non dire
una vera e propria riser-
va22 (§ 180):
ὥσπερ δὲ τοὺς τρόπους <τῆς> ἐποχῆς παραδίδομεν, οὕτω καὶ τρόπους
ἐκτίθενταί τινες
καθ’ οὓς ἐν ταῖς κατὰ μέρος αἰτιολογίαις διαποροῦντες
ἐφιστώμεν τοὺς δογματικοὺς διὰ τὸ
μάλιστα ἐπὶ ταύταις αὐτοὺς μέγα
φρονεῖν23. καὶ δὴ
Αἰνησίδημος ὀκτὼ τρόπους παραδίδωσι καθ’ οὓς
οἴεται24 πᾶσαν
δογματικὴν αἰτιολογίαν ὡς μοχθηρὰν ἐλέγχων ἀπο-
φήνασθαι κτλ.
Per prima cosa, Sesto distingue i tropi dell’ἐποχή, cioè i dieci e i
cinque
descritti nei capitoli precedenti, da questi, che riguardano le spiega-
zioni
causali particolari; al § 185 aggiunge un commento (τάχα δ’ ἂν καὶ
οἱ πέντε τρόποι τῆς
ἐποχής ἀπαρκοῖεν πρὸς τὰς αἰτιολογίας) che sembra
indicare come, ai suoi occhi,
questi tropi non siano realmente necessari; la
presenza degli avverbi attenuativi
τάχα, ἴσως indica anzi che egli esprime
un parere personale, suggerendo che i cinque
tropi — elaborati successi-
vamente agli otto tropi di Enesidemo — li rendano di
fatto superflui25.
— 291 —
Probabilmente, la spiegazione, ο almeno una delle possibili spiega-
zioni,
dell’atteggiamento di Sesto nei confronti di questi tropi va ricon-
dotta al
problema di metodo più generale toccato nei passi sopra citati:
attaccando nei tropi
i singoli tipi di spiegazioni causali, Enesidemo scen-
deva sul terreno degli
argomenti κατά μέρος, ο, per dir meglio, seguiva
i dogmatici nelle particolari
applicazioni dei loro presupposti, cosa che
lo scettico deve per quanto possibile
evitare26. Questo non significa, pe-
raltro, che
Sesto non apprezzasse, in generale, quelle che Fozio chiama
le ἀπορητικαὶ λαβαί27 di Enesidemo e a cui si richiama, senza appa-
renti riserve, in
Μ
ix 21828:
ἀφελέστερον μὲν οὖν οὕτω τινὲς παραμυθοῦνται τὰ τοῦ ἐκκειμένου λόγου
λήμματα· ὁ δὲ
Αἰνησίδημος διαφορώτερον ἐπ’ αὐτῶν ἐχρήτο ταῖς περὶ
τῆς γενέσεως ἀπορίαις.
Penso si possa affermare che la critica di Sesto nei confronti di una
polemica
scettica tendente a valorizzare le argomentazioni “particolari”
— 292 —
rispetto a quelle
generali sia rivolta prima di tutto alla tradizione accade-
mica, ma,
indirettamente, e più blandamente, anche a degli Scettici che
avevano adottato
analoghi procedimenti: forse tra costoro vi era proprio
Enesidemo. Questo potrebbe
ricollegarsi anche alla polemica di Sesto con-
tro l’eccessiva lunghezza che un
metodo di questo tipo comporta, che
rende meno efficace l’opera dello scettico.
Ricordo che di μακραί στοι-
χειώσεις Αΐνησιδήμου parla esplicitamente Aristocle29.
Tornando alla più generale questione della differenza tra Pirroniani
ed Accademici,
si deve osservare che, proprio mentre ribadisce le diffe-
renze rispetto agli
Accademici, Sesto ci mostra anche il terreno comune:
entrambe le correnti scettiche
elaborano argomenti contro i dogmatici;
questo rende il passaggio di materiale
dall’una all’altra non solo possibile
ma naturale. Tanto più che poi Sesto non
procederà ad applicare con
piena coerenza i principi affermati all’inizio di Μ
ix — abbattere le fonda-
menta e portare con ciò nella rovina
tutto l’edificio — ma si dilungherà
a sua volta negli argomenti κατὰ μέρος30.
Per quel che riguarda, infine, le argomentazioni vere e proprie, ap-
pare evidente
che Sesto in molti casi presenta come proprie degli Scettici
argomentazioni che noi
sappiamo essere state utilizzate dagli Accademici.
Poiché tuttavia risulta sufficientemente chiaro che egli distingue co-
stantemente
le due tradizioni, è difficile stabilire quanto e se sia cosciente
di questi
passaggi dall’una all’altra; troppo scarse sono le nostre informa-
zioni sul modo in
cui il patrimonio antidogmatico si è via via costituito
ed è stato trasmesso, e
dunque non è facile dire quanto deliberato sia
in lui l’intento di occultare gli
imprestiti e di attribuire allo scetticismo
pirroniano quello che originariamente
non gli apparteneva.
— 293 —
In PH i 7 Sesto offre spiegazioni31 sulla nomenclatura scettica:
ἡ σκεπτικὴ τοίνυν ἀγωγὴ καλεῖται μὲν καὶ ζητητικὴ ἀπὸ ἐνεργείας
τῆς κατὰ τὸ ζητεῖν καὶ
σκέπτεσθαι, καὶ ἐφεκτικὴ ἀπὸ τοῦ μετὰ τὴν
ζήτησιν περὶ τὸν σκεπτόμενον γινομένου πάθους,
καὶ ἀπορητικὴ ἤτοι ἀπὸ
τοῦ περὶ παντὸς ἀπορεῖν καὶ ζητεῖν, ὡς ἔνιοί φασιν, ἢ ἀπὸ τοῦ
ἀμη-
χανεῖν πρὸς συγκατάθεσιν ἢ ἄρνησιν, καὶ Πυρρώνειος ἀπὸ τοῦ φαίνεσθαι
ἡμῖν τὸν
Πύρρωνα σωματικώτερον καὶ ἐπιφανέστερον τῶν πρὸ αὐτοῦ
προσεληλυθέναι τῇ σκέψει.
Dei vari vocaboli che indicano la tradizione scettica non accademica,
“pirroniano” è
il più specifico e quello che dunque meglio di ogni altro,
apparentemente, potrebbe
essere usato ad indicare i filosofi che costitui-
scono l’oggetto della presente
indagine; tuttavia esso non è né il più fre-
quente né quello da tutti accolto, come
risulta dal passo sopra citato e
dal confronto con la posizione di Teodosio nella
forma in cui ci è riferita
da Diog. Laert. ix 70. Dopo aver
difeso la legittimità di fregiarsi dell’ap-
pellativo “pirroniano”32 — difendendo con ciò
stesso il titolo della pro-
pria opera e il diritto a riallacciarsi ad una
tradizione che trovava in Pir-
rone un punto primario di riferimento — Sesto se ne
serve in realtà con
estrema parsimonia. Questo sembra differenziarlo rispetto ad
Enesidemo,
per il quale, almeno a stare al resoconto di Fozio, il richiamo a
Pirrone
era determinante. I nomi preferiti da Sesto sono certamente “scettico”
e
“scepsi”; nel passo sopra citato di PH è a questo
nome, senza dubbio
il principale, che viene associata una nomenclatura tecnica
parallela: “ze-
tetici”, “efettici”, “aporetici”, “pirroniani”.
L’esame complessivo dell’opera di Sesto mostra che, nell’uso di
— 294 —
questi aggettivi,
egli si comporta in modo coerente e che, là dove si pre-
sentano33, essi sono costantemente usati per indicare
gli Scettici in cui
Sesto si riconosce34.
Come ho accennato sopra, ad eccezione di PH I,
l’aggettivo “pirro-
niano” compare solo nelle menzioni dei titoli delle opere di
Sesto e di
Enesidemo35. Si potrebbe dunque
pensare che esso venga adottato, più
ancora che per distinguere un’opera da altre di
analogo argomento dello
stesso autore, per segnalare l’indirizzo nel quale il suo
autore si riconosce
e differenziarne lo scritto dalle opere scettiche di altri, per
esempio di
Accademici. Questo fu certo l’intento di Enesidemo36; e, studiando la
presenza di Enesidemo nell’opera di Sesto,
non si deve trascurare questa
coincidenza terminologica che presuppone da parte sua
una scelta precisa
— 295 —
rispetto alla tendenza, che Galeno37 attribuisce espressamente agli em-
pirici e
che è rappresentata, per noi, dagli Σκεπτικὰ κεφάλαια di Teodo-
sio, ad evitare
deliberatamente di prendere il nome da una persona38.
Sesto usa il termine “pirroniano” come equivalente di “scettico”
e difende la sua
scelta, forse anche perché questo rientra nella strategia
di differenziazione dalla
tradizione accademica che evidentemente gli sta
a cuore in PH. D’altra parte, il fatto che il termine non ricorra in Μ
vii-xi non è particolarmente significativo,
posto che la parte corrispon-
dente a PH
i è andata perduta (si noti che l’aggettivo non ricorre
neppure
in PH
ii-iii)39.
Al posto di “pirroniano”, Sesto usa due volte la locuzione οἱ ἀπὸ
(τοῦ) Πύρρωνος, in
Μ
i 1 e 5. La stessa forma compare in Enesidemo
(ap. Phot., dove si legge anche οἱ κατὰ Πύρρωνα), alternata a οἱ
Πυρ-
ρώνειοι; questo modo di esprimersi indica “coloro che si ispirano a”, ο
“si
riallacciano a” Pirrone, e può riferirsi sia ai seguaci immediati, sia
a quelli più
lontani nel tempo. Non a caso fu adottato da Enesidemo,
nel quadro della sua
operazione di rilancio del pirronismo40. Nel caso
di Sesto, è possibile stabilire
che il riferimento è diretto ai Pirroniani
della fase antica, per due ragioni: la
prima, che essi comparivano nel qua-
dro del dibattito sulla grammatica che
coinvolse la scuola epicurea; la
— 296 —
seconda, che Sesto ribadisce la propria adesione
all’indirizzo in Μ
i 7
con un’espressione che rivela anche la distanza
cronologica rispetto a
coloro di cui ha precedentemente parlato (cfr.
infra, § 11).
PH
i offre, e questo non stupisce, il numero di gran lunga più
alto
di presenze di σκεπτικός e σκέψις: 79 (escludendo i titoli dei capitoli)41.
La distribuzione è abbastanza costante nei vari paragrafi, ma con
eccezioni degne di
nota. Nessuno dei due termini compare nei paragrafi
sui tropi, né in quelli degli
ἀρχαιότεροι σκεπτικοί (PH
i 36), né in quelli
dei νεώτεροι σκεπτικοί (PH
i 164), né negli otto tropi attribuiti espressa-
mente a
Enesidemo (PH
i 180). Di per sé, questo fatto non dimostra
che “scettico”
come equivalente di “pirroniano” non fosse un termine
— 297 —
usato da Enesidemo, ma il
fatto che esso non compaia né nel resoconto
di Fozio né in quello di Aristocle42
induce a ritenere che effettivamente
Enesidemo non se ne servisse, perlomeno nella
fase iniziale della sua
attività.
L’uso di οι σκεπτικοί, οἱ ἀπὸ τῆς σκέψεως, è normalmente generico
e si riferisce
globalmente all’indirizzo nel suo insieme, ma vi sono dei
casi in cui Sesto, pur non
facendone il nome, allude chiaramente a degli
individui ο a gruppi particolari;
molti di questi casi si presentano in
PH
i e su alcuni di essi mi soffermerò brevemente43.
(I) PH
i 30: τινὲς δὲ τῶν δοκίμων σκεπτικῶν προσέθηκαν τούτοις
καὶ
τὴν ἐν ταῖς ζητήσεσιν ἐποχήν.
Diog. Laert. ix 10744 ci consente di identificare con sufficiente
sicu-
rezza nelle persone di Timone e Enesidemo gli “Scettici illustri” che
po-
sero come fine l’ ἐποχὴ ἐν ταῖς ζητήσεσιν; ma tutto il capitolo di cui la
frase
citata costituisce la conclusione solleva il problema delle sue fonti,
posto
— 298 —
che anche l’immagine dell’atarassia che segue la sospensione come
l’ombra
il corpo è esplicitamente riferita a Timone e Enesidemo da Diogene
Laer-
zio. Sarà dunque opportuno soffermarsi brevemente su questi
paragrafi
ponendoli a confronto con quanto sappiamo del primo pirronismo.
Dopo aver definito il τέλος45, Sesto prosegue (§ 25):
φαμέν δὲ ἄχρι νῦν46
τέλος εἶναι τοῦ σκεπτικοῦ τὴν ἐν τοῖς κατὰ δόξαν
ἀταραξίαν καὶ ἐν τοῖς κατηναγκασμένοις
μετριοπάθειαν.
Punto di partenza dell’attività filosofica non appare qui esplicitamen-
te la
ricerca della felicità, ed in generale Sesto evita il termine, carico
di significati
“dogmatici”, ma che questo sia in ogni caso il movente sot-
tinteso risulta da Μ
xi 110 sgg.; 141 sgg.; il punto di divergenza tra quan-
to ci
è detto di Pirrone e quello che qui si dice è il fatto che il primo
passo non è
rappresentato dall’esame della natura delle cose, da cui deriva
il fatto che le
sensazioni non sono né vere né false, ma, in prospettiva
gnoseologica, dallo sforzo
di cogliere (καταλαβεῖν) quali rappresentazio-
ni47 siano
false e quali vere (cfr. PH
i 12); l’impossibilità di farlo a cau-
sa della discordanza di
egual peso ha portato ad ἐπέχειν. ἐπισχόντι48 δὲ
αὐτῷ τυχικῶς
παρηκολούθησεν ἡ ἐν τοῖς δοξαστοῖς ἀταραξία (§ 26).
L’avverbio τυχικῶς compare solo qui e subito sotto al § 29, e indica
che ci si
colloca nella prospettiva di come l’evento si è manifestato al
soggetto coinvolto;
il fatto che l’imperturbabilità nasca “per caso”, dalla
rinuncia a cercare, va
inteso non nel senso che «lo scettico non ha nes-
— 299 —
suna garanzia che la sospensione
abbia sempre come conseguenza la im-
perturbabilità»49, ma nel quadro di
un racconto (cfr. l’uso degli aoristi)
che descrive una “inaspettata scoperta”. Il
paragone dell’ombra e del
corpo conferma che non si mette in discussione il nesso
sospensione-
imperturbabilità.
La precisazione ἐν τοῖς δοξαστοῖς50 corrisponde al κατὰ δόξαν
della
definizione iniziale (§ 25) e all’oggetto delle ζητήσεις della frase
finale
(§ 30) sugli Scettici illustri; essa presuppone la distinzione che porta
all’in-
troduzione del concetto di μετριοπάθεια51, adottato dagli Scettici in un
contesto difensivo, di pari passo
con l’affermazione del “fenomeno” come
criterio pratico.
Segue (§ 28) il raccontino su Apelle, che riuscì a riprodurre la
schiuma di un
cavallo allorché, avendovi ormai rinunciato, lanciò sul di-
pinto la sua spugna.
Hossenfelder52 osserva che il paragone è singolare,
perché ciò che si produce nel
pittore è un gesto d’ira, non l’imperturbabi-
lità. Ma ciò che la storia vuole
sottolineare è
l’esito inatteso, che sorge
dalla
rinuncia ai tentativi, e nulla più di questo. Il parallelo con Diog.
Laert. ix 107 autorizza a supporre che la fonte principale di Sesto
per
l’insieme del capitolo sia Enesidemo, il quale a sua volta citava Timone.
È del tutto naturale pensare che di Apelle, pittore di corte di Ales-
sandro,
parlasse proprio Timone e che magari egli dovesse il racconto
a Pirrone53. A favore di quest’ipotesi parla un aspetto dell’analogia,
il
— 300 —
fatto che essa appare poco congrua per uno scettico che insista sulla
pe-
rennità della ricerca: il fatto di non cercare più si adatta invece
assai
bene a quanto sappiamo di Pirrone.
La corrispondenza concettuale tra quanto segue in Diog. Laert. ix
107-108 e Sesto54 induce a ritenere che già Enesidemo distinguesse ciò
che dipende da
noi e ciò a cui, non dipendendo da noi, non possiamo
sottrarci. Resta aperto il
problema se questa distinzione risalisse già allo
stesso Timone; molti indizi fanno
pensare che Enesidemo facesse appello
a Timone per la sua presentazione del
pirronismo, una presentazione nella
quale il problema difensivo della compatibilità
dello scetticismo con la
vita trovava largo spazio.
Che l’insieme del passo di Sesto rispecchi una fonte antica è con-
fermato dall’uso
di ἀόχλητον, hapax, cui corrisponde la definizione
di ἀταραξία
come ψυχῆς ἀοχλησία καὶ γαληνότης in PH
i 10: in que-
sta definizione, il primo sostantivo è a sua
volta un hapax55, il se-
condo
compare in Μ
xi 141 insieme all’altro hapax, ἡσυχία,
riferito a
Timone.
Infine, si noti che questo è l’unico passo, in tutta l’opera di Sesto,
dove alcuni
Scettici sono detti “illustri”. Questo fatto andrà tenuto pre-
sente da parte di chi
riesamini l’insieme della testimonianza di Sesto
su Enesidemo.
— 301 —
(II) PH
i 36: παραδίδονται τοίνυν συνήθως παρὰ τοῖς ἀρχαιοτέροις
σκεπ-
τικοῖς τρόποι, δι’ ὧν ἡ ἐποχὴ συνάγεσθαι δοκεῖ, δέκα τὸν ἀριθμόν,
οὓς καὶ
λόγους καί τόπους συνωνύμως καλοῦσιν.
§ 164: οἱ δὲ νεώτεροι σκεπτικοὶ παραδιδόασιν
τρόπους τῆς ἐποχής
πέντε τούσδε κτλ.
§ 178: παραδιδόασιν δὲ καὶ δύο τρόπους
ἐποχῆς ἑτέρους
Per quel che riguarda gli autori dei tropi, Sesto stesso (M
vii 345)
ci informa che tra gli Scettici più antichi va
annoverato Enesidemo56;
D.L. ix 88 attribuisce espressamente i cinque tropi a οἱ περὶ
Ἀγρίππαν.
Se anche Sesto allude ad Agrippa con l’espressione “Scettici più
recenti”,
dovranno essergli attribuiti anche i due tropi.
In ogni caso, lasciando da parte il dibattuto problema della paternità
dei tropi, è
interessante osservare che Sesto presenta questi tre gruppi
di tropi come un insieme
unitario, racchiuso tra i §§ 31-35, dove si dice
che, in termini generali, la
sospensione nasce dalla contrapposizione delle
cose:
(§ 31) γίνεται τοίνυν αὕτη, ὡς ἂν ὁλοσχερέστερον εἴποι τις, διὰ τῆς
ἀντιθέσεως τῶν
πραγμάτων
(§ 35) ὑπὲρ δὲ τοῦ τάς ἀντιθέσεις ταύτας ἀκριβέστερον ἡμῖν
ὑποπεσεῖν,
καὶ τοὺς τρόπους ὑποθήσομαι δι’ ὧν ἡ ἐποχὴ συνάγεται
τοσαῦτα μὲν οὖν καὶ περὶ τῶν τρόπων τῆς ἐποχῆς ἐπὶ τοῦ παρόντος
ἀρκέσει λελέχθαι.
Che si tratti di un insieme unitario è mostrato sia dal fatto che il pas-
saggio dai
dieci tropi ai cinque non richiede particolari spiegazioni (§ 163):
οὕτω μὲν οὖν διὰ τῶν δέκα τρόπων καταλήγομεν εἰς τὴν ἐποχήν. οἱ δὲ
νεώτεροι σκεπτικοὶ
παραδιδόασι τρόπους τῆς ἐποχής πέντε τούσδε,
πρῶτον μέν
— 302 —
sia anche dal fatto che, a fugare ogni dubbio, dopo l’esposizione dei cin-
que tropi
egli sente il bisogno di sottolineare che coloro che hanno posto
questi tropi non
hanno inteso sostituire i dieci, ma solo affiancar loro
uno strumento che consente
di confutare la precipitazione dei dogmatici
in modo più vario (§ 177):
τοιούτοι μὲν καὶ οἱ παρὰ τοῖς νεωτέροις παραδιδόμενοι πέντε τρόποι·
οὓς ἐκτίθενται
οὐκ ἐκβάλλοντες τοὺς δέκα τρόπους, ἀλλ’ ὑπέρ τοῦ ποι-
κιλώτερον καὶ διὰ τούτων σὺν
ἐκείνοις ἐλέγχειν τὴν τῶν δογματικῶν προπέτειαν.
Questo è tanto più significativo se si considera che il contenuto del
capitolo
preliminare, tutto centrato sulla ἀντίθεσις τῶν πραγμάτων, è
chiaramente
introduttivo ai dieci tropi e non a tutto l’insieme.
Nessuna particolare riserva viene avanzata da Sesto sui cinque e due
tropi, a
differenza di quanto accade per i dieci. Ma in quest’ultimo caso
è chiaro che le sue
espressioni di cautela rispecchiano la particolare situa-
zione della tradizione sui
dieci tropi — cioè quella di essere tramandati
in numero, con ordine, con contenuti
differenti — e non hanno nulla
a che fare con i tropi in quanto tali57.
All’interno dei dieci tropi, per la cui analisi cominciamo a disporre
di eccellenti
strumenti58, si
trova un brano particolarmente interessante
per chi voglia concentrare la propria
attenzione su Sesto come autore:
si tratta dei §§ 62-78, che costituiscono una sorta
di appendice al primo
tropo. In questa sede59 mi limiterò a segnalare alcuni degli elementi che
— 303 —
mi inducono a
ritenere che si tratti di un contributo in cui la componente
di intervento personale
di Sesto gioca un ruolo importante.
Si ribadisce più volte che il brano è un’aggiunta, un di più (§ 62:
ἐκ περιουσίας, §
63: ἐκ πολλοῦ τοῦ περιόντος, § 78 ἐκ περιόντος); esso
è introdotto come un esempio
del fatto che gli Scettici non disdegnano
di scherzare, prendere in giro i dogmatici
(§ 62):
καὶ γὰρ καταπαίζειν60 τῶν δογματικῶν τετυφωμένων61 καὶ
περιαυτο-
λογούντων62 οὐκ ἀποδοκιμάζομεν μετὰ τοὺς πρακτικοὺς τῶν
λόγων.
Inoltre, non è stato notato che esso viene presentato come una con-
troreplica alla
replica che i dogmatici rivolgono contro gli argomenti con-
tenuti nel primo tropo e
dunque viene elaborato in una fase abbastanza
tarda (§ 63):
ἐπεί δὲ εὑρεσιλογοῦντες οἱ δογματικοὶ ἄνισον εἶναί φασι τὴν σύγκρισιν,
ἡμεῖς ἐκ
πολλοῦ τοῦ περιόντος ἐπὶ πλέον παίζοντες ἐπὶ ἑνὸς ζῴου
στήσομεν τὸν λόγον, οἷον ἐπὶ
κυνός, εἰ δοκεῖ, τοῦ εὐτελεστάτου
δοκοῦντος εἶναι.
— 304 —
L’uso della prima persona plurale non deve trarre in inganno; che
essa stia al posto
della prima singolare risulta chiaro dalla conclusione
(§ 78):
τὴν δὲ σύγκρισιν ἐποιησάμην, ὡς καὶ ἔμπροσθεν ἐπεσημηνάμην, ἐκ
περιόντος, ἱκανώς, ὡς
οἶμαι, δείξας [ἔμπροσθεν] ὅτι κτλ.
Ma anche l’uso del tempo futuro è significativo, perché conferma
che Sesto scende
personalmente nell’agone.
Infine, il brano contiene un interessante riferimento agli Stoici
(§ 65):
οὗτος τοίνυν κατὰ τοὺς μάλιστα ἡμῖν ἀντιδοξοῦντας νῦν δογματικούς,
τοὺς ἀπὸ τῆς
Στοᾶς, ἐν τούτοις ἔοικε σαλεύειν κτλ.
che potrebbe offrire, qualora risultasse che l’avverbio νῦν indica contempo-
raneità
rispetto allo scrivente, preziosi indizi sulla cronologia di Sesto63.
Non sappiamo chi siano gli Scettici che interpretano l’espressione
“non più” come
equivalente ad una forma interrogativa:
τινὲς μέντοι τῶν σκεπτικῶν παραλαμβάνουσι ἀντὶ πύσματος τὸ "οὐ" τοῦ
"τί μᾶλλον τόδε
ἢ τόδε", τὸ "τί" παραλαμβάνοντες νῦν ἀντί αἰτίας,
ἵν’ ᾖ τὸ λεγόμενον "διὰ τί μᾶλλον
τόδε ἢ τόδε;" κτλ.64
Tuttavia, ciò che si legge in Μ
i 31565 conferma che si trattava di
un problema topico
all’interno dell’indirizzo.
— 305 —
Sesto inizia il capitolo di PH ribadendo, contro
alcuni non meglio
specificati, ma non appartenenti alla scepsi (§ 189: ὥς τινες
ὑπολαμ-
βάνουσι), l’equivalenza delle varianti οὐ μᾶλλον e οὐδέν μᾶλλον, e
lo
conclude sottolineando, col suffragio di testimonianze letterarie66, l’e-
quivalenza dell’uso positivo e dell’uso interrogativo,
cioè, in sostanza, ri-
fiutando di scorgere differenziazioni tra gli Scettici quanto
a questo pro-
blema, una volta ribadita la corretta interpretazione da dare
all’espres-
sione nelle sue varie formulazioni. Il suggerimento che οὐ μᾶλλον
debba
ο possa essere interpretato come equivalente ad un interrogativo
poteva
richiamarsi all’autorità di Timone, se è attendibile Aristocle
(ap. Eus.
praep. evang.
xiv 18, 7)67.
Interessante è anche il fatto che la forma interrogativa esplicita sia
attribuita a
degli empirici nel proemio del De medicina di Celso, come
ha
notato Mudry68 e nel quarto tropo nella versione di Diog. Laert.
ix
82: τί γὰρ μᾶλλον ἐκεῖνοι ἢ ἡμεῖς;
προφέρονται δέ τινες καὶ οὕτω τὴν φωνὴν "παντὶ λόγῳ λόγον ἴσον ἀν-
τικεῖσθαι",
ἀξιοῦντες παραγγελματικῶς τοῦτο "παντὶ λόγῳ δογματικῶς
τι κατασκευάζοντι λόγον δογματικῶς
ζητοῦντα, ἴσον κατὰ πίστιν καὶ
ἀπιστίαν, μαχόμενον αὐτῷ ἀντιτιθώμεν", ἵνα ὁ μὲν λόγος
αὐτοῖς ᾖ πρὸς
τὸν σκεπτικόν, χρῶνται δὲ ἀπαρεμφάτῳ ἀντὶ προστακτικού, τῷ
"ἀντι-
κεῖσθαι" ἀντὶ τοῦ "ἀντιτιθώμεν". παραγγέλλουσι δὲ τοῦτο τῷ σκεπτικῷ,
μή
πως ὑπό τοῦ δογματικοῦ παρακρουσθείς ἀπείπῃ τὴν περὶ αὐτοῦ
ζήτησιν, καὶ τῆς φαινομένης
αὐτοῖς ἀταραξίας, ἣν νομίζουσι παρυφίστασ-
θαι τῇ περὶ πάντων ἐποχῇ, καθὼς ἔμπροσθεν
ὑπεμνήσαμεν, σφαλῇ προ-
πετευσάμενος.
Si menziona una formulazione della frase παντὶ λόγῳ λόγος ἴσος
ἀντίκειται,
commentata subito sopra, la cui differenza viene chiarita
— 306 —
tramite la successiva
spiegazione: in essa, tramite la forma all’infinito ius-
sivo69, si pone l’accento su ciò che lo scettico fa,
piuttosto che su ciò
che gli appare, sullo scetticismo come capacità, come δύναμις
ἀντιθετική
(PH
i 8). Da notare l’avverbio grammaticale παραγγελματικῶς, che
ri-
corre solo qui; a differenza di ἀπαγγέλλειν70, παραγγέλλειν indica pre-
valentemente
la trasmissione di un messaggio sotto forma di ordine. Si
tratta dunque di
un’esortazione a ricercare l’isostenia in ogni circostanza
per sfuggire al
dogmatismo ed ottenere l’imperturbabilità (cfr. PH i 12).
Anche questa versione può trovare un
precedente nel modo in cui Timone
riportava la dottrina del maestro71. Essa sottolinea l’aspetto etico (ma
forse anche
prescrittivo-terapeutico) del pirronismo, il suo presentarsi co-
me un cammino verso
l’atarassia, quel cammino che, secondo Timone,
solo Pirrone aveva saputo percorrere
fino in fondo72; tracce di analogo
modo di concepire il ruolo
dell’insegnamento scettico si scorgono nell’epi-
grafe di Menecles73.
Al singolare ο al plurale, l’aggettivo non è affatto frequente, ma è
sempre riferito
ai Pirroniani74. Forse lo scarso uso che Sesto ne fa deve
essere spiegato alla luce del
fatto che questo termine, derivato da ἐπέχειν,
ἐποχή75
— 307 —
veniva al
tempo suo attribuito sia a Pirroniani, sia agli Accade-
mici, come sembra risultare
dalla testimonianza di Aulo Gellio xi 5, 6
e indirettamente da
Diog. Laert. i 16, dove gli efettici sono contrapposti
ai
dogmatici senza ulteriore precisazione. Da notare però che neppure
Galeno se ne
serve mai per indicare gli Scettici: forse perché il termine
aveva un ben definito
significato medico? Non si può escludere che que-
sto motivo sia importante anche
per Sesto e dunque valga a spiegare la
parsimonia con cui egli fa uso del vocabolo.
Questa denominazione suscita maggiori problemi rispetto alla que-
stione che ci
interessa, cioè di capire a chi Sesto si riferisca quando usa
il termine76.
— 308 —
La situazione particolare legata all’uso del vocabolo si presenta del
resto anche
nella spiegazione della denominazione in PH
i 7 che, sola
tra tutte, si presenta duplice:
ἀπορητικὴ ἤτοι ἀπὸ τοῦ περὶ παντὸς ἀπορεῖν καὶ ζητεῖν, ὡς ἔνιοί φασιν,
ἢ ἀπὸ τοῦ
ἀμηχανεῖν πρὸς συγκατάθεσιν ἢ ἄρνησιν.
Un’indicazione sulla provenienza della prima spiegazione deriva dal-
l’inciso ὡς
ἔνιοί φασιν.
Tutte le volte in cui ricorre in Sesto, il pronome ἔνιοι allude a per-
sone estranee
allo scetticismo77; questo fatto rende altamente improba-
bile che la fonte
diretta sia da ricercarsi all’interno della tradizione scet-
tica. A ciò si aggiunga
il fatto che, non disponendo di fonti parallele
che ci soccorrano, è difficile
rispondere alla domanda su chi siano questi
ἔνιοι.
Ciò che invece si può osservare è che l’espressione ὡς ἔνιοί φασιν
appare normalmente
usata in modo neutro, per alludere alle fonti di una
particolare informazione che
viene riportata senza elementi valutativi spe-
cifici, né positivi né negativi. In
altre parole, la duplice spiegazione qui
menzionata attesta l’esistenza di una
tradizione duplice, ma il modo in
cui è presentata non implica di per sé una
preferenza da parte di Sesto,
in altre parole non ci aiuta a comprendere che cosa
egli pensasse in pro-
posito.
E certo possibile, in linea teorica, che la seconda spiegazione sia
quella che
rientra più naturalmente nel quadro dello scetticismo di Sesto,
ma non è escluso che
anch’essa dipenda da altra fonte, posto che il verbo
ἀμηχανεῖν (a differenza
dell’aggettivo, si veda infra) ricorre solo qui. E
dunque
necessario cercar di capire come mai Sesto senta il bisogno di
riportare entrambe le
versioni.
La prima delle due spiegazioni riguarda il metodo adottato dagli
Scettici; in questo
senso ἀπορεῖν è equivalente a ζητεῖν; ma il fatto di
— 309 —
ἀπορεῖν non è esclusivo dei
Pirroniani78 anche se la precisazione περὶ
παντός indica
che si tratta di un’attività generalizzata; la seconda spiega-
zione invece non
riguarda il metodo, ma piuttosto la situazione in cui
lo scettico viene a trovarsi:
l’ ἀπορεῖν generalizzato ha come esito l’impos-
sibilità di affermare ο negare.
A ben guardare, le due definizioni non sono incompatibili79, ma
complementari;
esse riguardano i due diversi significati di ἀπορία,
ἀπορεῖν, ἄπορος, e dunque due
diverse prospettive. Nel primo caso “apo-
retico” deriva dal metodo, dal
procedimento che lo scettico adotta verso
le tesi avversarie; nel secondo caso esso
esprime lo stato in cui lo scettico
si trova. Entrambe le prospettive concernono, in certa misura, anche i
filosofi dogmatici: allorché la tesi
sostenuta da uno di essi viene confu-
tata, questi viene a trovarsi in uno stato di
difficoltà, di impasse.
Raccogliendo e registrando le due spiegazioni di “aporetico”, Sesto
non intende
tanto esprimere disagio nei confronti della prima, quanto,
con ogni probabilità,
illustrare il significato del termine nella sua comple-
tezza e in tutti i suoi
aspetti. Quest’ipotesi trova conferma nella sua opera.
Sesto usa regolarmente e con enorme frequenza80 il termine
ἀ-
πορητικός come equivalente di “scettico”, riprendendo in questo l’uso
di
Enesidemo (ap. Phot.).
Limiterò per necessità di cose l’esame al solo aggettivo ο aggettivo
sostantivato, ο
all’avverbio, con l’avvertenza che si tratta solo del primo
passo: lo studio del
ruolo dell’ ἀπορεῖν in Sesto richiede ben altro impe-
gno e riserverà,
probabilmente, delle sorprese.
“Aporetico” viene usato in PH i 221, più volte,
a proposito di Pla-
tone, in contrapposizione a “dogmatico”, ma, proprio qui, il
fatto che
aporetico e scettico siano equivalenti agli occhi di Sesto risulta dalla
frase
seguente (§ 222):
περὶ μὲν οὖν τῶν δογματικὸν αὐτὸν εἶναι λεγόντων, ἢ κατὰ μέν τι
δογματικόν, κατὰ δέ τι
ἀπορητικόν, περισσὸν ἂν εἴη λέγειν νῦν· αὐτοὶ
— 310 —
γὰρ ὁμολογοῦσι τὴν πρὸς ἡμᾶς διαφοράν.
περὶ δὲ τοῦ εἰ ἔστιν εἰλικρινῶς81
σκεπτικὸς
πλατύτερον μὲν ἐν τοῖς ὑπομνήμασι διαλαμβάνομεν, νῦν δὲ κτλ.
In i 234, l’espressione (διὰ τῆς ἀπορητικῆς) usata a proposito di
Ar-
cesilao sottolinea in modo esplicito la coincidenza di metodo tra il
filosofo
accademico e lo scettico.
L’aspetto metodico emerge anche dall’uso dell’avverbio82; anche in
questi casi, se si esaminano i contesti,
non appare nessuna riserva da parte
di Sesto83; l’ ἀπορεῖν è il metodo di cui
gli Scettici si servono; a con-
ferma, benché eccezionale, non manca neppure l’uso,
con lo stesso signifi-
cato, di σκεπτικῶς (viii 295; xi 19; ix 194, dove σκεπτικώτερον è
equiva-
lente a ix 12 ἀπορητικώτερον).
In Μ
viii 76; 78; 80 οἱ ἀπορητικοί sono contrapposti ai
dogmatici,
nella fattispecie gli Stoici; anche in questo caso, però, l’uso
dell’espressio-
ne non deve trarre in inganno: Sesto non pensa agli aporetici come
a
degli Scettici “diversi” da coloro in cui si riconosce, come risulta dal
fatto
che poco sopra (viii 75) usa οἱ ἀπὸ τῆς σκέψεως, e scrive
anche
ἡμῖν ἐξέσται λέγειν (viii 76).
In viii 160, gli “aporetici” sono contrapposti ai “dogmatici”, in
un
contesto dove ci si sofferma sul significato del metodo (τοῦ σκεπτικοῦ
ἔθους
παρασταθέντος), quello di ottenere un equilibrio tra argomenti dog-
matici e
argomenti “aporetici” così da sospendere, e non aderire all’uno
ο all’altro partito;
ma che questi “aporetici” non siano dei “dogmatici
— 311 —
negativi”, ma solo degli Scettici
che elaborano controargomenti per con-
trobilanciare i dogmatici, risulta dal fatto
che subito dopo si parla di οἱ
ἀπὸ τῆς σκέψεως.
In ix 12, a proposito degli dei, Sesto scrive:
σκεπτόμενοι ὁτὲ μὲν οἷον δογματικῶς περὶ θεοῦ, ὁτὲ δὲ ἀπορητικώτερον
περὶ τοῦ μηδὲν εἶναι
τὸ ποιοῦν ἢ πάσχον.
Il significato della contrapposizione risulta da quanto segue, dove,
a proposito
degli dei, egli contrappone tesi dogmatiche positive a tesi
dogmatiche negative84; si vedano ix 66; 191 e specialmente la conclu-
sione di quest’ultimo
brano (§ 194);
πλὴν ἐκ τούτων παραστήσαντες ὅτι ἀκολουθεῖ τοῖς περὶ τῶν δραστηρίων
ἀρχῶν δογματικῶς
εἰρημένοις ἡ ἐποχή, μετὰ τοῦτ’ ἤδη καὶ σκεπτι-
κώτερον διδάσκωμεν, ὅτι κοινῶς ἄπορός
εστι τῷ περὶ τοῦ ποιοῦντος
αἰτίου καὶ ὁ περὶ τῆς πασχούσης ὕλης λόγος.
Oltre all’equivalenza tra aporetico e scettico che risulta dallo scambio
dei due
avverbi, un passo come questo consente di scorgere la differenza
tra l’argomentare
in favore di una tesi negativa che caratterizza l' ἀπορεῖν
scettico e analogo argomentare
dei dogmatici e, di conseguenza, aiuta a
capire in che senso Sesto ritenga che l’
ἀπορεῖν svolga un ruolo essenziale
per lo scetticismo.
Il primo ha una funzione “confutatoria” nel senso che è pensato
dallo scettico in
funzione dell’argomento a cui è rivolto, ma il suo
scopo non è principalmente di
annientare l’avversario, mostrando l’in-
sostenibilità della tesi, quanto piuttosto
di far vedere che alla sua tesi
si può contrapporre una tesi altrettanto persuasiva,
altrettanto forte sul
piano argomentativo, che si presenta come opposta alla tesi
dogmatica;
questo non comporta però che colui che la propone vi aderisca
nello
stesso modo in cui il dogmatico aderisce alla propria. Si veda, oltre
al
passo sopra citato (PH
ii 79, cfr. supra, § 2) sulla persuasività
degli
— 312 —
argomenti scettici, per esempio Μ ix 207 (cfr. anche Μ vii 443):
σκοπώμεν δὲ ἀκολούθως καὶ τοὺς τῶν ἀπορητικῶν λόγους· φανήσονται
γὰρ καὶ οὗτοι τοῖς
ἐκκειμένοις ἰσοσθενεῖς καὶ ἕνεκα πειθοῦς μὴ
διαφέροντες αὐτῶν.
A seguito di questa situazione lo scettico si troverà nell’impossibilità
di
scegliere tra le due tesi; all’ ἐποχή seguirà l’imperturbabilità. E questo
è
certamente, per Sesto, il risultato a cui si deve mirare.
La duplice definizione di aporetico da cui abbiamo preso le mosse
rispecchia questa
situazione e il duplice ruolo che lo scettico è chiamato
a svolgere: per ottenere il
proprio scopo, egli deve mostrare che ad ogni
logos se ne oppone
uno equivalente (PH
i 12; Diog. Laert. ix 74):
questo
comporta sottoporre alla ζήτησις ο all’aporia ogni argomento, cioè
elabo-
rare argomenti a favore della tesi contraria oppure argomenti
“confuta-
tori” della tesi in oggetto, così da far nascere una situazione nella
quale
la scelta tra affermazione e negazione risulti impossibile. In alcuni
casi
la stessa διαφωνία dei dogmatici permette di ottenere questo
risultato
contrapponendone le tesi; ma spesso la funzione di antilogico
compete
allo scettico, che risulta così per certi versi “simile al dogmatico”
nella
fase di antilogia85, ma profondamente
differente per il fine che lo muove.
D’altra parte, ἀπορεῖν e ζητεῖν sono due
elementi che accomunano, al-
meno all’inizio del percorso, il dogmatico allo
scettico: entrambi sono
mossi dal desiderio di conoscere il vero (PH
i 12; Μ
i 6): entrambi cer-
cano, ma gli Scettici non nascondono
l’esito della ricerca (M
i 7: τὰς
δὲ ἴσας εὑρόντες ἀπορίας οὐκ ἀπεκρύψαντο86). Le due tesi opposte ven-
gono dette “aporie” proprio in quanto il
loro equilibrio porta all’impossi-
bilità di affermare ο negare.
Questo insieme concettuale, che Sesto ritiene peculiare del pirroni-
smo, sembra
corrispondere, in entrambi i suoi aspetti, a ciò che si propo-
neva Enesidemo: non
solo nel riassunto di Fozio è chiaramente attestato
l’uso del termine “aporetico” ad
indicare i Pirroniani (170 a 26-27: οἱ
— 313 —
μὲν περὶ παντὸς τοῦ προτεθέντος
διαποροῦντες), come abbiamo visto; ma
lo stesso Fozio indica nell’indecidibilità
l’obiettivo proprio del filosofo
pirroniano secondo Enesidemo: ἃ δὲ καὶ εἰδείη,
οὐδέν μᾶλλον αὐτῶν
τῇ καταφάσει ἢ τῇ ἀποφάσει γενναῖός ἐστι συγκατατίθεσθαι: al di là
del-
l’ironia con cui il concetto è espresso da Fozio87 il contenuto corrisponde
puntualmente alla seconda
definizione che Sesto offre di “aporetico”88;
abbiamo già visto che il termine ἀμηχανεῖν che vi ricorre è un hapax in
Sesto, e dunque possibile indizio di citazione; ma il
concetto è basilare e
ricorrente: si veda PH
i 10 (ἀπόφασις-κατάφασις) e soprattutto i
192-193
(definizione dell’ ἀφασία come πάθος ἡμέτερον δι’ ὃ οὔτε τιθέναι τι
οὔτε
ἀναιρεῖν φαμεν), ma anche, per l’idea che non si può
decidere, PH
i 26:
ἐνέπεσεν εἰς τὴν ἰσοσθενῆ διαφωνίαν, ἣν ἐπικρῖναι μὴ
δυνάμενος ἐπέσχεν.
Inoltre, se il verbo ἀμηχανεῖν ricorre solo in PH
i 7, l’aggettivo è
frequente, ed è usato in parallelo ad
ἄπορος, in analoghi ο negli stessi
contesti. Tutto questo sembra indicare che le due
spiegazioni di “apore-
tico” non sono in contrasto, agli occhi di Sesto; sono, anzi,
complemen-
tari l’una all’altra.
8. Le citazioni di filosofi scettici indicati per nome
Un compito solo apparentemente semplice consiste nella ricognizione
delle citazioni
esplicite di personaggi appartenenti alla tradizione scettica
pirroniana.
I nomi che compaiono in Sesto non sono certo numerosi, se si consi-
dera anche la
lista, molto più ricca, che ci fornisce la parte del libro ix
di Diogene Laerzio dedicata alla biografia di Pirrone. Si tratta di
Pirrone,
Timone, Enesidemo, forse Menodoto89. Come già si è accennato, le ci-
— 314 —
tazioni non sembrano
proporzionate, dal punto di vista quantitativo, né
alla natura, né alle dimensioni
dell’opera di Sesto90. Un quadro più ar-
ticolato e maggiori informazioni potranno
forse emergere da ulteriori
ricerche, in particolare per quanto riguarda la figura
di Enesidemo che
non è mai stata oggetto di una monografia veramente esauriente e
per
il quale, significativamente, non disponiamo ancora di una raccolta
dei
frammenti91.
Il nome di Pirrone compare tredici volte nell’intero corpus: PH
i 7;
234; M
i 1; 2; 5; 53; 272 (bis); 281; 305-306 (quater).
abbastanza elevato, esso viene notevolmente ridimensionato se si tiene
presente
- — che le occorrenze si ripartiscono in due soli libri (PH i e Μ i);
- — che in PH
i 234 il nome di Pirrone compare in un verso di
Aristone; - — che in due casi (M
i 1; 5) si tratta dell’espressione οἱ ἀπὸ (τοῦ)
Πύρρωνος; - — che le citazioni in M
i 2; 272; 281 hanno carattere biografico
e riguardano un unico argomento: l’atteggiamento di Pirrone verso la
grammatica e la poesia; in entrambi i contesti Pirrone è accostato ad Epi-
curo (si veda l’analisi infra, § 11); - — che in M
i 305-306 il tema principale è l’interpretazione
ortodossa
da dare dei versi di Timone; - — che solo in PH
i 7, passo peraltro assai peculiare, si parla di Pir-
rone come di un “caposcuola”92.
— 315 —
A differenza di Pirrone, Timone è tutt’altro che assente dagli scritti
di Sesto93.
In PH il suo nome compare solo una volta, in un passo
significativo
(i 223-224), ma la sua presenza in questo
libro può essere ritenuta mag-
giore di quanto non risulti dalla sola menzione del
nome94.
Uno dei passi dove è forse possibile ritrovare tracce non del tutto
evanescenti
della sua presenza è PH
i 19-20 il cui argomento è εἰ ἀναι-
ροῦσι95 τὰ φαινόμενα οἱ σκεπτικοί.
— 316 —
Dopo aver osservato che coloro i quali accusano gli Scettici di soppri-
mere i
fenomeni non tengono conto della distinzione tra i fenomeni e
l’oggetto della
ζήτησις scettica, Sesto aggiunge l’esempio del miele:
οἷον <ὅτι μὲν> φαίνεται ἡμῖν γλυκάζειν τὸ μέλι (τοῦτο συγχωροῦμεν·
γλυκαζόμεθα γὰρ
αἰσθητικῶς), εἰ δὲ καὶ γλυκὺ ἔστιν ὅσον ἐπὶ τῷ λόγῳ,
ζητοῦμεν96.
La frase richiama il fr. 74 Diels di Timone (ap. Diog. Laert. ix 105)97:
καὶ ἐν τοῖς Περὶ αἰσθήσεών φησι, "τὸ μέλι ὅτι ἐστὶ γλυκὺ οὐ τίθημι,
τὸ δ’ ὅτι
φαίνεται ὁμολογῶ".
Il verbo ὁμολογεῖν viene sostituito da συγχωρεῖν, mentre al posto
di οὐ τίθημι
compare il tipico verbo scettico ζητεῖν. Questo scarto ter-
minologico mostra che le
parole di Timone, così come le abbiamo in
Diogene Laerzio, erano fedeli
all’originale. Una parafrasi della stessa
idea, dove l’esempio specifico del miele è
scomparso, appare in Sesto
subito dopo nel contesto del capitolo sul criterio per
l’agire (§ 22):
διὸ περὶ μὲν τοῦ φαίνεσθαι τοῖον ἢ τοῖον τὸ ὑποκείμενον οὐδεὶς ἴσως
ἀμφισβητήσει,
περὶ δὲ τοῦ εἰ τοιοῦτον ἔστιν ὁποῖον φαίνεται ζητεῖται.
Nel passo di Diogene Laerzio che riporta il fr. di Timone, il contesto
generale in
cui la citazione è inserita rivela che la probabile fonte di tutto
il materiale
antico era Enesidemo. Nel caso di Sesto, nulla ci permette
di precisare quali siano
le mediazioni; ma la seconda parte del capitolo
mi sembra degna di qualche
attenzione, sia dal punto di vista del con-
tenuto, sia dal punto di vista
linguistico (§ 20):
ἐὰν δὲ καὶ ἄντικρυς κατὰ τῶν φαινομένων ἐρωτῶμεν λόγους, οὐκ
ἀναιρεῖν βουλόμενοι τὰ
φαινόμενα τούτους ἐκτιθέμεθα, ἀλλ’ ἐπιδεικνύν-
τες τὴν τῶν δογματικῶν προπέτειαν· εἰ
γὰρ τοιοῦτος ἀπατεών ἐστιν
— 317 —
ὁ λόγος ὥστε καὶ τὰ φαινόμενα μόνον οὐχὶ τῶν ὀφθαλμῶν
ἡμῶν ὑφαρ-
πάζειν, πῶς οὐ χρὴ ὑφορᾶσθαι αὐτὸν ἐν τοῖς ἀδήλοις, ὥστε μὴ
κατα-
κολουθοῦντας αὐτώ προπετευέσθαι;
Qui Sesto fa riferimento al fatto che talora gli Scettici argomentano
contro i fenomeni e precisa che questo avviene non per negarli ma
per
mostrare la precipitazione dei dogmatici. Se la ragione è così
ingannatrice
da sottrarci anche i fenomeni, tanto più infida sarà nel giudicare
ciò
che è oscuro, e dunque non si dovrà darle credito precipitosamente. Di
quali
dogmatici si tratta, e dunque di quali Scettici? I termini ὑφοράσθαι,
ἀπατεών e
ὑφαρπάζειν sono hapax in Sesto98, ma non rari né limitati
ad una determinata
epoca; dunque di per sé contengono forse solo l’indi-
cazione che il brano ripete da
vicino una fonte e non viene rielaborato
da Sesto. Per quanto riguarda il contenuto,
viceversa, esso richiama
quanto Diog. Laert. ix 144 ci
racconta di Timone:
συνεχές τε ἐπιλέγειν εἰώθει πρὸς τοὺς τὰς αἰσθήσεις μετ’ ἐπιμαρτυροῦν-
τος τοῦ νοῦ
ἐγκρίνοντας
"συνήλθεν ἀτταγᾶς τε καὶ νουμήνιος".
εἰώθει δὲ καὶ παίζειν τοιαῦτα.
La più probabile interpretazione del verso, «un ladro dà una mano
a un altro ladro»
presenta proprio l’idea, vagamente comica, di complicità
nel furto, ο nella
“sottrazione sotto il naso” che ὑφαρπάζειν vuole convo-
gliare nel passo di Sesto. A
stare alla terminologia usata, Timone sem-
brava aver di mira primariamente gli
Epicurei; ma significativo è il fatto
che la sua polemica coinvolgeva non solo la
ragione, ma anche le sensa-
zioni (entrambe “ladri”); dunque egli rientrava tra
quegli Scettici di cui
si poteva dire che le mettevano in discussione, e rispetto ai
quali Sesto
(o la sua fonte) sente il bisogno di precisare quale fosse il loro
intento
per evitare equivoci e incomprensioni.
— 318 —
11. Pirrone, Timone e la grammatica (Μ i)
I §§ 1-8 di Μ
ι hanno carattere introduttivo all’intero gruppo di
libri
contro i cultori delle scienze (i §§ 1-40 riguardano la critica ai μαθήματα
in
generale) e sono di particolare interesse in quanto contengono materiale
pirroniano
antico, rispetto a cui Sesto dichiara la propria adesione (M
i 7); vi è una tangibile differenza tra la parte espositiva —
che può essere
accostata ad altre parti espositive contenute in Sesto — e quella
argomen-
tativa, dove il tono diviene più impersonale e astratto.
L’impostazione
del brano, il fatto che M
ι (con M
xi) contenga il maggior numero di
riferimenti nominativi ai
primi Pirroniani, nonché alcuni cenni dello stes-
so Sesto, inducono a ritenere che
il tema trattato appartenesse al nucleo
originario della tradizione ed avesse agli
occhi dello scettico una notevole
importanza.
Come all’inizio di PH
i, Sesto apre il discorso caratterizzando la posi-
zione dei
Pirroniani rispetto ad una posizione superficialmente simile, ma
nella sostanza
differente. In PH si introduce la distinzione tra
Accademici
e Scettici, nei quali Sesto include anche se stesso, qui quella tra
Epicurei
(οἱ περὶ Ἐπίκουρον) e Pirroniani (οἱ ἀπὸ τοῦ Πύρρωνος99) nei
quali
Sesto non include, per il momento, se stesso. Essi hanno in comune
la
polemica (ἀντίρρησιν) contro i “professori” (οἱ ἀπὸ τῶν μαθημάτων), ma
tale
polemica non muove dalla stessa disposizione mentale (διάθεσις).
Si adducono quattro ragioni per la posizione epicurea: [1] le scienze
non servono
alla perfetta sapienza; [2] si tratta, secondo l’ipotesi di alcuni
— 319 —
(ὥς τινες
εἰκάζουσι), di un modo per nascondere la propria incultura; [3]
forse (τάχα δέ)
causa è l’ostilità verso filosofi colti come Platone e Aristo-
tele; [4] non è
escluso (οὐκ ἀπέοικε) che abbia pesato anche l’inimicizia
verso Nausifane, discepolo
di Pirrone, abile retore di cui Epicuro fu disce-
polo, ma rispetto al quale volle
dirsi autodidatta, denigrando le arti in
cui questi era esperto (segue la citazione
della lettera ai filosofi di Mitilene
con gli attacchi a Nausifane).
Delle ragioni addotte, solo la prima non è accompagnata da espres-
sioni di cautela:
evidentemente essa si fondava su affermazioni esplicite
contenute in scritti di
Epicuro.
Da notare in questo brano (e nel libro i in genere) l’ampia
raccolta
di materiale su Epicuro, e, per quanto riguarda la menzione di
Pirrone,
il fatto che essa è inserita in un contesto che sembra stridere con la
pre-
messa, cioè la polemica pirroniana contro le scienze: Pirrone viene
infatti
detto maestro di Nausifane, il quale si distinse proprio nelle stesse
scienze
contro cui i Pirroniani rivolgono i loro attacchi.
Questo può essere spiegato in due modi (forse non incompatibili tra
loro): primo,
Sesto trova la menzione di Pirrone nella fonte da cui trae
le informazioni su
Epicuro, e la riporta senza porsi problemi. Secondo,
il fatto che un uditore di
Pirrone coltivasse le scienze, e specialmente
la retorica, costituisce un’indiretta
riprova dell’atteggiamento pirroniano
e della profonda differenza rispetto ad
Epicuro: non si tratta di un rifiuto
per incultura (cfr. [2]) né di ostilità
preconcetta (cfr. [3]).
A partire dal § 5, Sesto contrappone punto per punto alla posizione
epicurea quella
pirroniana: [1] sostenere che le scienze non giovano alla
sapienza sarebbe
dogmatico; [2] l’incultura non c’entra: i Pirroniani sono
educati e più esperti
degli altri filosofi; inoltre non si curano dell’opinione
altrui; [3] non provano
ostilità verso nessuno (questo vizio è incompatibile
con la loro πραότης)100.
Segue l’esperienza provata nei confronti delle scienze, analoga a
quella verso tutta
la filosofia (πόθος τοῦ τυχεῖν τῆς ἀληθείας101).
Il
passo costituisce un significativo parallelo a PH
i 12.
— 320 —
Dopo aver parlato dell’esperienza dei Pirroniani, Sesto dichiara espli-
citamente la
propria adesione all’indirizzo con parole che mostrano come
quanto precede sia la
descrizione di filosofi lontani nel tempo, storica-
mente determinati102 (§ 7):
διόπερ καὶ ἡμεῖς τὴν αὐτὴν τούτοις ἀγωγὴν μεταδιώκοντες πειρασώμεθα
χωρὶς φιλονεικίας τὰ
πραγματικῶς λεγόμενα πρὸς αὐτὰ ἐπιλεξάμενοι θεῖναι.
- — il rarissimo verbo εἰκοβολέω, usato per sottolineare l’aspetto con-
getturale delle ipotesi sull’atteggiamento epicureo contro le scienze103; - — il termine πολυπειρότατοι, usato per caratterizzare i Pirroniani,
torna solo104 in Μ vii 323 (da Asclepiade); - — οὐκ ἀπέοικεν ritorna in Μ
i 282, dove Sesto rinvia, a proposito
di Pirrone, a ragioni esposte in un’altra sua opera; in Μ viii 481, epilogo
del libro, con il paragone della scala; in Μ vii 322 subito prima di intro-
durre la citazione da Asclepiade105; e in vii 329, passi dal cui insieme
risulta che l’espressione sembra in genere indicare l’inserzione di un pa-
rere di Sesto; - — πραότης è hapax in Sesto106, ma si tratta di un termine legato
allo scetticismo, come risulta da Diog. Laert. ix 108 dove si dice che alcuni
Scettici pongono come fine l’impassibilità, altri la mitezza (πραότης)107.
Sesto ne riprende il concetto nell’espressione χωρὶς φιλονεικίας in i 7,
che si contrappone a δυσμένεια, che compare in Sesto solo in questo
passo.
— 321 —
Il brano è dunque stilisticamente interessante per l’uso di termini
rari, presenta,
sul piano concettuale, dei paralleli con PH
i e sembra impli-
care la mescolanza tra fonti epicuree e
tradizione pirroniana antica non-
ché un intervento personale di Sesto nel
rielaborare il materiale.
Qualcosa di più preciso è possibile dire analizzando le parti succes-
sive dove
ritorna l’accostamento tra Pirrone ed Epicuro (i 272 sgg.).
Per valutare la testimonianza su Pirrone è necessario riassumere bre-
vemente le
linee generali di questa parte del trattato.
I grammatici sostengono che senza l’arte non si può comprendere
ciò che i poeti
dicono; posto che la poesia è utile per la vita e la felicità,
tale è anche la
grammatica. I filosofi adducono a suffragio delle proprie
tesi versi poetici; che
altri filosofi lo facciano non stupisce; ma, tra i filo-
sofi, anche coloro che
attaccarono la grammatica, Pirrone ed Epicuro,
riconobbero la necessità della
poesia; Pirrone leggeva Omero, Epicuro ha
rubato (§ 273: φωρᾶται [...] ἀνηρπακώς) il
meglio delle sue teorie ai
poeti; seguono versi omerici contenenti teorie riprese da
Epicuro (§§ 273-
274). Nei §§ 275-276, a riprova dell’utilità della grammatica, si
cita
l’episodio dei Lebedi che litigavano coi vicini per Camandoto e
l’amba-
sceria di Sostrato da Tolemeo (cfr. § 293).
- (1) §§ 276-280: ammettiamo che i poeti siano utili alla vita: non
hanno bisogno dei grammatici come interpreti108. - (2) §§ 280-281: in realtà, i veri filosofi non si servono dei poeti
che dicono cose contrarie tra loro — come spesso fanno, del resto, anche
i filosofi. - (3) Degli accusatori della grammatica, Pirrone (§ 281) leggeva Omero
non per la ragione addotta ma forse (τάχα) per diletto come se ascoltasse
dei comici; forse per interesse per le forme e i modi poetici perché era
egli stesso poeta; forse per altre ragioni περὶ ὧν ἐν τοῖς Πυρρωνείοις
διεξήλθομεν. - (4) Quanto a Epicuro ecc. (§ 283).
— 322 —
Interessante è il fatto che agli argomenti addotti dai grammatici in
favore della
propria arte (fra cui quello che persino detrattori della gram-
matica come Pirrone
ed Epicuro utilizzavano i poeti), probabilmente rea-
gendo contro attacchi scettici
ed epicurei, si contrappongono controargo-
menti in buona parte di fonte epicurea
(questo risulta dal § 299: τὰ μὲν
οὖν ὑπό τῶν ἄλλων λεγόμενα κατὰ τὸν τόπον, καὶ μάλιστα
τῶν
Ἐπικουρείων, ἐστί τοιαῦτα); seguono poi argomentazioni
propriamente
scettiche (ἡμεῖς δὲ μηδὲν κατειπόντες τῆς ποιητικῆς ἄλλως ποιώμεθα
τὰς
ἀντιρρήσεις). L’esplicita dichiarazione di Sesto di dipendere dagli
Epicurei spiega
il carattere degli argomenti, e non indica adesione di
Sesto a ciò che dice, né, a
maggior ragione, simpatia per Epicuro.
Il discorso su Pirrone mostra invece l’intervento di Sesto in prima
persona (cfr. le
sue predilette formule di cautela: “forse” ecc.), che di-
chiara di essersi occupato
altrove più ampiamente del problema. È eviden-
te che l’interesse di Pirrone per i
poeti, certamente attestato dalle fonti
biografiche (cfr. Diog. Laert. ix 67 = Test. 20) aveva suscitato problemi
ed era indizio di
una relazione particolare tra pirronismo antico e poe-
sia109, che
meritava ai suoi occhi una discussione particolare. A questo
si deve aggiungere il
fatto che almeno due opere importanti su Pirrone
ο a lui ispirate,
Silli e Indalmi, erano scritte in poesia.
Questo può spiegare anche come mai per ben due volte Sesto ribadisca
di non
coinvolgere nella sua ἀντίρρησις la poesia come tale (cfr. § 278:
ἵνα συνδράμωμεν
αὐτοῖς μηδὲν ποιητικῆς κατειπόντες, § 299: ἡμεῖς δὲ,
μηδὲν κατειπόντες τῆς
ποιητικῆς). Ε probabile che il problema della poesia
fosse trattato più ampiamente
ἐν τοῖς Πυρρωνείοις citati al § 282110.
Torniamo ora indietro, a M
i 44, dove, iniziando la critica contro
i grammatici, Sesto
distingue preliminarmente i significati di grammatica:
quello generale, comunemente
detto grammatistica, che riguarda la cono-
scenza delle lettere alfabetiche
(grammatica elementare) e quello speciale,
che si riferisce all’arte di Cratete, di
Aristofane e di Aristarco.
— 323 —
A riprova che tutti sono d’accordo sull’utilità della grammatistica,
che non sarà
dunque oggetto di ἀντιλογία, Sesto cita l’affermazione di
Epicuro (§ 49: ἐν [...] τῷ
Περὶ δώρων καὶ χάριτος), che i sapienti devono
apprendere le lettere. Al § 50,
introdotto dalla tipica locuzione ἄλλως,
εἴπαμεν ἂν ἡμεῖς (cfr. § 299), Sesto
introduce un passo in cui si mostra
che la grammatistica è utile non solo ai
sapienti ma a tutti gli uomini.
fine di ogni arte è di essere utile (εὔχρηστον) alla vita: esse furono
trovate
principalmente ο per allontanare le cose spiacevoli (ad esempio
la medicina), ο per
procurare cose utili (ad esempio la navigazione). La
grammatica cura l’oblio e
contiene la memoria, senza la quale non è possi-
bile né insegnare né imparare. E in
ogni caso, neppure se lo volessimo
potremmo eliminarla senza incorrere nella
περιτροπή (οὐδὲ θελήσαντες
ταύτην δυνησόμεθα ἀπεριτρέπτως ἀνελεῖν); perché anche
l’insegnamento
che la grammatica è inutile dovrebbe servirsi di questa, e dunque
essa
sarebbe nello stesso tempo anche utile.
Segue la citazione del fr. 61 Diels di Timone, definito ὁ προφήτης
τῶν Πύρρωνος λόγων,
accompagnato dall’osservazione che qualcuno po-
trebbe interpretare questi versi in
senso opposto, cioè come una critica
ad ogni tipo di grammatica; quindi, Sesto
espone l’interpretazione che
ritiene corretta. Ciò che Timone dice è che chi abbia
imparato a leggere
e scrivere non ha bisogno della grammatica, cioè di un’arte
πέρπερον καὶ
περιεργοτέραν111.
La spiegazione successiva richiama ΡΗ i 23, mentre la
qualificazione
dei grammatici gonfi di vanità (τετυφωμένοι) richiama PH
i 62, passo
che ho già brevemente esaminato sopra (§ 5, (II)).
Il vocabolo appare
solo in questi due passi112.
Dunque, Sesto presenta la posizione pirroniana sulla grammatica
in modo
sostanzialmente difensivo (come avviene per altri aspetti dello
scetticismo
pirroniano in PH
i), cioè precisando, contro presumibili at-
tacchi avversari,
che lo scettico si guarda bene dal contestare l’utilità
della grammatica e che chi
adduce i versi di Timone non li interpreta
correttamente.
— 324 —
È altamente probabile che gli avversari avessero attaccato la posi-
zione scettica
come autocontradittoria e avessero addotto la citazione di
Timone a conferma del
fatto che Pirrone attaccava la grammatica.
Il problema del ruolo di Timone nei confronti del maestro è partico-
larmente
delicato per la ricostruzione delle prime fasi del pirronismo e
non intendo
risollevarlo in questa sede; in particolare, non sappiamo come
Timone presentò se
stesso in relazione al maestro, ma credo si possa affer-
mare con certezza, alla
luce dell’analisi complessiva del passo, che l’e-
spressione ὁ προφήτης τῶν Πύρρωνος
λόγων (sia che fosse stata usata
da Timone per se stesso oppure, più probabilmente,
che non lo fosse
stata) era contenuta nella fonte ostile113, che si serviva di questo con-
cetto per mostrare che la tesi di Timone
poteva dirsi rappresentativa
dell’indirizzo come tale.
L’argomento che mi pare decisivo a favore dell’ipotesi che la defini-
zione fosse
citata dall’avversario è il fatto che essa serviva proprio a fon-
dare la περιτροπή:
colui che polemizza contro la grammatica è “interprete
dei discorsi di Pirrone”,
cioè fa esattamente quello che condanna nel mo-
mento in cui attacca la grammatica.
Il vocabolo προφήτης ha dunque il significato che doveva essere
quello grammaticale
corrente in età alessandrina, cfr. § 279: ἡ προφῆτις
γραμματικὴ αὐτῶν (cioè: la
grammatica “interprete” dei poeti). Se si
attribuisce a Sesto, ο comunque a un
pirroniano tardo, l’epiteto di Ti-
mone va perduta la pointe
dell’argomento.
È plausibile che gli avversari siano dei grammatici (III/II a.C.; si
noti che gli
esempi addotti risalgono alla prima età ellenistica) e che Sesto
tenga conto, nella
replica, anche di materiale epicureo (quello stesso che
utilizzerà ampiamente più
avanti). A questo però egli aggiunge materiale
schiettamente “pirroniano”, come
risulta dallo stacco netto con cui inseri-
sce, dopo la citazione di Epicuro, gli
argomenti scettici114, anche
se non
— 325 —
appare agevole stabilire a chi precisamente esso risalga. Si tratta in
ogni
caso di un pirronismo che ha elaborato la distinzione tra arti utili e
non,
influenzato dalla medicina, e pronto a difendersi da attacchi avversari.
Se, come ha osservato giustamente Di Marco115, l’affermazione
contenuta nei versi di Timone «si lascia
facilmente interpretare in chiave
di frecciata polemica contro le eccessive
sottigliezze cui erano giunti gli
studi grammaticali al suo tempo»116, non risulta però da nessuna parte
che la distinzione fra
grammatica elementare e grammatica erudita risa-
lisse già a Pirrone. A lui viene
attribuita solo l’ostilità alla grammatica
in generale — sulla base, probabilmente,
dei versi di Timone sopra ci-
tati — e l’interesse per la poesia. L’insieme delle
due cose poteva prestar
fianco all’accusa di incoerenza.
Alla luce delle varie testimonianze offerte da Μ
i, si può a questo
punto ricostruire almeno nelle linee
generalissime il quadro d’insieme.
Timone prese posizione sull’attività erudita e troppo sottile dei gram-
matici,
polemizzando con gli Alessandrini e accennando a questo anche
nei
Silli. Gli avversari (grammatici?) presero spunto da questa polemica
per
considerare il pirronismo (Timone “interprete di Pirrone”) fra gli av-
versari della
grammatica e accomunarlo all’altra corrente ostile contempo-
ranea, l’epicureismo.
Essi per un verso accusarono la posizione scettica
di autocontraddizione, per altro
verso sottolinearono il fatto che Pirrone,
pur avverso alla grammatica (come risulta
da Timone) si interessava di
poesia e dunque la riteneva utile.
Più tardi (non sono attualmente in grado di dire quando) i Pirroniani
chiarirono la
posizione scettica accogliendo la distinzione tra grammatica
e grammatistica e
teorizzando la funzione di quest’ultima in parallelo a
quella delle arti utili per
la vita. Su questa distinzione si fonda la corretta
esegesi di ciò che Timone aveva
detto (a chiunque essa risalga).
Si potrebbe pensare che questo materiale fosse raccolto da autori
che si occuparono
di Timone (per esempio i commentatori della sua opera,
come Sozione ο Apollonide,
se, come è probabile, si trattava di commenti
— 326 —
di stampo prevalentemente erudito);
Sesto cercò di chiarire il perché del-
l’interesse di Pirrone per la poesia e
probabilmente la sua compatibilità
con la posizione scettica. Il riferimento ad una
trattazione più ampia del
problema mostra che si trattava di argomenti che lo
interessavano partico-
larmente.
È naturale anche in questo caso presupporre un’esegesi contraria e
polemica verso
l’indirizzo. Non si deve trascurare il fatto già accennato
che l’opera di Timone era
stata commentata (Sozione, Apollonide di Nicea,
fonte di Diogene Laerzio, del I
d.C.), e dunque era oggetto di attenzione
da parte di eruditi e grammatici ancora
agli inizi dell’età imperiale. Ciò
poteva essere sufficiente per giustificare una
trattazione elaborata sul pirro-
nismo nell’ambito del dibattito pro ο contro la
grammatica.
Che i testi della tradizione pirroniana più antica passassero, proprio
in quanto
scritti in versi, attraverso l’esegesi dei grammatici, è confermato
da M
i 305, dove Sesto riporta alcuni versi con i quali Timone
descriveva
Pirrone117; il taglio della citazione e il contesto
mostra che egli è spinto
da una duplice esigenza: quella di mostrare che i
grammatici non sono
in grado di interpretare correttamente le parole dei filosofi, e
di offrire
nel contempo un’interpretazione di ciò che Timone aveva detto,
nel-
l’alveo dell’ortodossia pirroniana.
A partire dal § 299, iniziano gli attacchi propriamente scettici contro
la capacità
diagnostica della grammatica118. Sesto mostrerà che il gram-
matico non comprende né ciò di
cui si parla, né le parole, né entrambe
le cose119.
— 327 —
Per quanto riguarda Timone, l’esegesi banale e superficiale dei gram-
matici (per i
quali la similitudine tra Pirrone e il sole sarebbe istituita
κατὰ τιμὴν [...] καὶ
διὰ τὴν περὶ τὸν φιλόσοφον ἐπιφάνειαν) dovrà essere
sostituita da una più profonda
non appena ci si renderà conto che il para-
gone così inteso porrebbe ciò che Timone
dice di Pirrone in contrasto
con la dottrina scettica; il sole verrebbe infatti a
simboleggiare ciò che
illumina cose non viste in precedenza, mentre Pirrone fa
discendere nel-
l’oscurità anche le cose prima ritenute chiare. Ma chi consideri la
cosa
in modo più filosofico, continua Sesto, comprenderà il vero messaggio
di
Timone: Pirrone “sospende” (ἐπέχειν; ο forse meglio, “fa sospendere”,
con valore
causativo); allo stesso modo che il sole oscura la vista di chi
lo fissa
direttamente, il logos scettico confonde (συγχεῖ) l’occhio di
chi
lo guarda attentamente così da indurlo a ἀκαταληπτεῖν (cfr. PH
i 201;
Μ
v 51) su ciò che l’audacia dei dogmatici pone. Pirrone diventa
così
il puro simbolo dello σκεπτικὸς λόγος120.
Interessante è il fatto che anche qui l’esegesi che Sesto presenta dei
versi di
Timone ha un’intonazione difensiva: lo scopo generale è di far
rientrare il passo
nella tradizione pirroniana così come Sesto la accoglie
e presenta e di sottrarre
armi alle accuse di incoerenza ο a critiche del
tipo di quella che leggiamo in
Aristocle121 e Galeno122, secondo
cui lo
scetticismo è incompatibile con figure di saggi ο di maestri.
K. Janáček, Leipzig 19622, s.vv. περιεργία, περίεργος, περιέργως. Significativo il
fatto che l’avverbio ἀπεριέργως compaia una sola volta, in PH i 240, a proposito
dei metodici. Il tema ha una lunga tradizione alle spalle; cfr. Plat. apol. 19 β: Σω-
κράτης [...] περιεργάζεται ζητῶν τά τε ὑπὸ γῆς καὶ οὐράνια. Esso compare con fre-
quenza anche in Filone di Alessandria.
i dogmatici e per lo scettico, risulta bene da PH i 12; 26; ma, una volta scoperto, come
per caso (PH i 26; 29, cfr. infra, § 5, I) donde nasce l’imperturbabilità, tra dogmatici
e scettici si apre un baratro. Lo scettico, mosso dalla propria filantropia, si impegnerà
soltanto nella cura della malattia dogmatica (PH iii 280-281); cfr. A. J. Voelke, Soigner
par le Logos: la Thérapeutique de Sextus Empiricus, in Le Scepticisme antique. Perspectives
historiques et systématiques (Actes du colloque International sur le Scepticisme antique,
1-3 juin 1988, édités par A.-J. Voelke), Lausanne 1990, pp. 181-94.
corre fare concessioni all’avversario per far avanzare la ζήτησις (cfr. τὴν ἐποχὴν [...]
προβαίνειν in viii 300); 296; Μ v 86.
tra la tecnica retorica giudiziaria e l’organizzazione del materiale scettico.
1987-88, v. p. 1182.
tito tra Stoici e Scettici che sembrerebbe riguardare Stoici tardi, cfr. K. Hülser,
F.D.S., I, pp. 388-9; analogamente Μ viii 258, se il Basilide ivi citato è lo stoico
che sarebbe stato maestro di Marco Aurelio. A Stoici tardi sembra rivolto anche
PH i 65 (cfr. infra, § 5).
cipitosi, ma che non sempre appare confermato, come risulta dal fatto che spesso
Sesto non si sforza di evitare ripetizioni a breve distanza.
sione ad una soluzione rispetto ad un’altra. Talora egli interviene direttamente, sotto-
lineando la propria posizione rispetto all’argomento di cui sta trattando ο che si ac-
cinge a trattare. Cfr. l’uso della prima persona in PH i 232; 237; 329; ii 9; 10;
22; 98; 204; 212). Tutto questo dovrà essere studiato sistematicamente e senza pre-
giudizi sulle qualità intellettuali ο letterarie dell’autore.
scordi; cfr., per tutti, V. Brochard, Les Sceptiques Grecs, Paris 19232, p. 322, nel
quadro di un giudizio abbastanza impietoso: «rien de moins personnel que ce livre:
c’est l’oeuvre collective d’une école, c’est la somme de tout le scepticisme» e, ancora
di recente, U. Burkhard, Die angebliche Heraklit-Nachfolge des Skeptikers Aenesidem,
Bonn 1973, p. 31: «Sextus, der bekanntlich kein sehr selbstständiger Autor war».
A partire dai Prolegomena to Sextus Empiricus, “Acta Universitatis Palackianae Olo-
mucensis” iv), Olomouc 1948, K. Janáček ha aperto la strada a studi destinati a
correggere anche giudizi di questo tipo, mostrando tra l’altro l’incidenza che una
migliore conoscenza di Sesto ha per quanto riguarda la corretta valutazione dei fram-
menti estratti dalla sua opera (cfr. Prolegomena cit., p. 10).
sue conclusioni sono forse meno sicure di quanto egli ritenga. Non sono del tutto
persuasa dagli argomenti che lo inducono a datare PH prima di Μ vii-xi, posto che
i rinvii interni non contengono nessuna indicazione certa in questo senso; in PH
i 222, il rinvio con il verbo al presente, διαλαμβάνομεν, riguarda la parte perduta
di Μ vii-xi, come sembra risultare dal fatto che anche Μ ii 106 rinvia alla stessa
opera, nella parte conservata (M viii 299 sgg.), sempre con un presente (δείκνυται);
cfr. anche J. Blomqvist, Die Skeptika des Sextus Empiricus, «Gräzer Beiträge», ii
(1974) pp. 7-14. Dubbi sulla cronologia proposta da Janáček avanza anche J. Brun-
schwig, Sextus Empiricus on the kriterion, in The Question of “Eclecticism”. Studies
in Later Greek Philosophy, ed. by J. M. Dillon & A. A. Long, Berkeley 1988, pp.
145-75, v. p. 152 nota 9.
equivalente di “Accademia scettica” e della loro distribuzione nell’opera indica una
presenza molto concentrata in PH i e Μ vii, solo sporadica altrove. Lo riporto perciò
qui, escludendo le occorrenze nei titoli dei capitoli, con l’indicazione dei paragrafi,
che possono contenere più di una citazione: 12 volte in PH (i 4; 220; 226; 229;
231; 232; 235); 13 volte in Μ vii-xi (vii 169; 175; 179; 201; 252; 331; 389 (incerta);
401 (bis); 409; 412; ix 1; 2 volte in Μ i-v (ii 20; 43).
cademico” non sembra presente; Enesidemo usava οἱ ἀπὸ τῆς Ἀκαδημίας (169 b 38;
170 a 14; 23), mentre Fozio si serve di οἱ Ἀκαδημαϊκοί dove chiaramente riassume
con parole proprie (169 b 37; 170 a 40). In Μ vii 143 l’uso di οἱ Πλατωνικοί potrebbe
essere un indizio che il brano è tratto da fonte accademica (cfr. P. Natorp, Forschun-
gen zur Geschichte des Erkenntnisproblems im Altertum, Berlin 1884, rist. Darmstadt
1965, p. 69 nota 1).
343, dove, confutando l’esistenza del criterio, Sesto scrive: οὐκ ἄρα εὑρίσκειν τἀληθὲς
ὁ ἄνθρωπος πέφυκεν; è probabile che la frase «l’uomo dunque per natura non può
trovare il vero» non sia che la negazione della premessa stoica “l’uomo può per natura
trovare il vero” ed abbia la funzione di creare la situazione di isostenia che sola
porta alla sospensione.
τὸ εἶναι σημεῖον καὶ πρὸς τὸ μὴ εἶναι λόγων φερομένων, οὐ μᾶλλον εἶναι σημεῖον ἢ μὴ εἶναι ῥητέον; PH iii 17;
20; 29 sulla causa e soprattutto Μ viii 159-161 sullo σκεπτικὸν ἔθος. Per la πιθανότης
degli argomenti scettici, cfr. A. J. Voelke, Soigner par le Logos cit.
tudine, ma il contesto e il tema stesso indirizzano a cercarli all’interno della tradi-
zione pirroniana.
zioni alla prima versione di questo studio —, in Diog. Laert. ix 91 si sostiene una
tesi differente (τῶν κατὰ μέρος ἀπιστουμένων ἀποδείξεων, ἄπιστον εἶναι καὶ τὴν γενι-
κὴν ἀπόδειξιν): entrambi i testi mostrano che vi era una tradizione pirroniana che
si scostava da quella che Sesto difende.
54 sg., non rende giustizia allo scetticismo schematico di Sesto, mettendolo a con-
fronto con la personalità geniale di Carneade, capace di adattarsi via via all’avversa-
rio: «Die Durcharbeitung des dogmatischen Stoffes nach den hergebrachten Formen
ist fast zu einem mechanischen Process geworden».
gli Stoici che ritengono utile la dialettica per sfuggire ai sofismi. In questo contesto,
mostra che, eventualmente, sarà il tecnico in grado di distruggere il sofisma, e ricorre
ad esempi medici connessi con il metodismo, coerentemente con l’interesse prevalente
in PH. Il problema di come comportarsi nei confronti dei sofismi ritorna nella tradi-
zione empirica; si veda Gal. subfig. emp. xi (pp. 80 sgg. Deichgräber); cfr. anche
arter. iv, p. 721 K.; opt. doctr. iii 1, p. 45 K.; (ii 237-240); e, ancora, in ii 244-245,
Sesto cita l’aneddoto di Erofilo e Diodoro definendolo χαρίεν ἀπομνημόνευμα (cfr.
anche, subito sotto, ἐχαριεντίσατο), così come, in Μ ix 3, definisce χαριέστερον l’argo-
mentazione di carattere generale rispetto a quella κατὰ μέρος (χαρίεις è un aggettivo
molto raro in Sesto: cfr. M viii 325: ταῦτά γέ τοι καὶ σφόδρα χαριέντως ἀπεικάζουσιν
οἱ σκεπτικοὶ τοὺς περὶ ἀδηλων ζητοῦντας τοῖς ἐν σκότῳ ἐπί τινα σκοπὸν τοξεύουσιν
(cfr. Luc. Herm. 49, p. 791). Anche l’uso a proposito di Crantore in Μ xi 52 mostra
l’apprezzamento di Sesto per paragoni ben trovati.
καὶ σεμνὸν τῶν δογματικῶν αὔχημα). Il tema del vano orgoglio dei dogmatici risale
almeno a Timone.
170 b 17-22: προβάλλεται αὐτῷ καὶ ὁ πέμπτος λόγος τὰς κατὰ τῶν αἰτίων ἀπορητικὰς
λαβάς, μηδὲν μὲν μηδενὸς αἴτιον ἐνδιδοὺς εἶναι, ἠπατῆσθαι δὲ τοὺς αἰτιολογοῦντας
φάσκων, καὶ τρόπους ἀριθμών καθ’ οὓς οἴεται αὐτοὺς αἰτιολογεῖν ὑπαχθέντας εἰς τὴν
τοιαύτην περιενέχθαι πλάνην. Poiché è impensabile un elemento comune tra Sesto e
Fozio che non sia l’opera stessa di Enesidemo, sembra naturale dedurne che egli
stesso usava l’espressione ὡς οἴομαι (vel sim.); nel resoconto di Fozio, come ha notato
K. Janáček, Zur Interpretation des Photios-Abschnittes über Ainesidemos, «Eirene», xiv
(1976) p. 96, essa assume un valore ironico; credo che il fatto che sia ripresa anche
in quello di Sesto potrebbe essere significativo.
la menzione di Enesidemo, corrisponda all’uso di questa particella con funzione intro-
duttiva allorché si presentano più casi (qui, si tratterebbe della versione degli otto
tropi rispetto ad altri menzionati ma non indicati specificamente alla fine dell’elenco,
e ai cinque tropi); credo però (1) che al § 185 la frase che inizia con τάχα δ’ ἂν
contenga il pensiero di Sesto, e vada dunque staccata da quanto precede e (2) che
il valore della particella sia piuttosto di esprimere una sorta di riserva, enfatizzando
la citazione. Comunque stiano le cose, questo modo di introdurre il nome di Enesi-
demo va sottolineato, poiché si tratta, per PH, di un unicum.
que. Les tropes d’Enésidème contre la logique inductive, «Revue des Etudes Ancien-
nes», xx (1918) pp. 69-76, secondo il quale Enesidemo qui non attaccherebbe la
causa in quanto tale, ma piuttosto «les procédés arbitraires qu’emploient les dogma-
tiques pour remonter des effets aux causes», si veda ora J. Barnes, Ancient Skepticism
and Causation, in The Skeptical Tradition, ed. by M. Burnyeat, Berkeley 1983, pp.
149-203, v. pp. 155 sgg.
ramente che il libro constava di due parti; la prima era di carattere più generale,
volta a negare ogni tipo di causa, la seconda era rivolta a confutare coloro che si
servono di spiegazioni causali facendole rientrare nelle tipologie indicate dagli otto
tropi. Per il termine λαβαί cfr. anche Phot. 170 b 17-18: προβάλλεται [...] τὰς λαβάς.
dallo stesso libro che conteneva gli otto tropi.
l’esigenza di raggiungere un equilibrio complessivo tra gli argomenti frutto della πε-
ριεργία dogmatica e i controargomenti scettici. Questa è una tipica tecnica persuasiva,
largamente utilizzata in campo giudiziario.
lievo. Una di queste è che il termine σκεπτικός non viene spiegato: a questo scopo
risponde tutto ΡΗ I.
viceversa, cfr. Pirrone. Testimonianze, a cura di F. Decleva Caizzi, (“Elenchos” v),
Napoli 1981, test. 40-41 e il commento alle pp. 200 sgg.; sulla stessa linea J. Bar-
nes, Diogene Laerzio e il Pirronismo, in Diogene Laerzio storico del pensiero antico,
«Elenchos», vii (1986) pp. 383-427, v. p. 421 nota 57.
che a cavallo tra il I e il II secolo d.C. le cose non stavano precisamente in questo
modo; anche fonti più tarde attestano la confusione tra Accademia e pirronismo.
In questa sede mi limito ad esaminare l’uso di Sesto.
πυρρώνειος compare in: PH i 7; 11 (ὁ Πυρρώνειος φιλόσοφος); 14; 217 (a proposito
di Protagora: διὸ καὶ δοκεῖ κοινωνίαν ἔχειν πρὸς τοὺς Πυρρωνείους); 232, 234 (a propo-
sito di Arcesilao; πάνυ μοι δοκεῖ τοῖς Πυρρωνείοις κοινωνεῖν λόγοις [...] φασὶν ὅτι
κατὰ μὲν τὸ πρόχειρον Πυρρώνειος ἐφαίνετο εἶναι); Μ viii 215 (ὁ δὲ Αἰνησίδημος ἐν
τῷ τετάρτῷ τῶν Πυρρωνείων λόγων); Μ i 283 (περὶ ὧν ἐν τοῖς Πυρρωνείοις διεξήλ-
θομεν); vi 58 (ἐν τοῖς Πυρρωνείοις ὑπομνηματιζόμενοι); vi 61 (ἤδη μὲν παρεστήσαμεν
ἐν τοῖς Πυρρωνείοις). In Μ i 283 = vi 58, 61, il rinvio ἐν τοῖς Πυρρωνείοις scil.
λόγοις (vel ὑπομνήμασι) allude a Μ vii-xi (e ai libri perduti che li precedevano, per
cui si veda K. Janáček, Die Hauptschrift des Sextus Empiricus als Torso erhalten?,
«Philologus», cvii (1963) pp. 271-7, cfr. cxxi (1977) p. 91; J. Blomqvist, Die Skep-
tika des Sextus Empiricus, cit.); Sesto usa anche, per rinviare alla propria opera mag-
giore, Σκεπτικά (M i 61), Σκεπτικὰ ὑπομνήματα (M i 29; ii 106); come Σκεπτικά essa
è citata da Diog. Laert. ix 116.
Aristocle, Plutarco, Anon. comm. in Plat. Theaet., Favorino (ap. Aul. Gell.), Galeno
(ma non in Filone di Alessandria).
colunt emperiam sicut et philosophi dicti squeptici eam que a viro renuentes nuncupatio-
nem a dispositione que secundum animam deposcunt cognosci, et secundum hoc [...] seip-
sos autem neque acronios (licet acron primus preses fuerit sermonum empiricorum) at
vero neque a timone neque a philino neque serapione qui acrone quidem posteriores,
priores vero aliis empericis facti sunt.
cassero dei predecessori per la propria posizione scettica, risulta da Galeno (in Hipp.
de off. med. comm. xvii 2, p. 658 Κ.: αὐτοί οὖν οἱ τοῦ Πύρρωνος εἰς παλαιοτάτους
ἄνδρας ἀνάγουσι τὴν ἑαυτών προαίρεσιν), qualora οἱ παλαιότατοι ἄνδρες non si riferisca,
semplicemente, proprio a Pirrone.
sarà bene tener sempre presente la perdita della prima parte dell’opera maggiore,
il cui contenuto doveva corrispondere, probabilmente, a PH i.
Decleva Caizzi, Aenesidemus and the Academy, «The Classical Quarterly», xlii
(1992) pp. 176-89.
mente il forte scarto tra Μ vii-xi e M i-vi. Quanto alle frequenze, ne dò conto qui
di seguito, a scopo indicativo, con l’avvertenza che in alcuni passi non risulta imme-
diatamente chiaro se σκέψις abbia significato tecnico: PH ii: 12 volte: §§ 1; 2; 3;
6; 10 (bis); 14; 45; 222; 253; 258; 259; PH iii: 7 volte: §§ 65; 118; 135; 235;
280 (bis); 281; Μ vii: 13 volte: §§ 1; 27; 28; 29; 49; 89; 264; 343; 433 (bis); 435;
440; 443; in 28 e 89 σκέψις ha il significato di “indagine”; 264 è particolarmente
interessante perché è riferito a Socrate: Σωκράτης μὲν ἠπόρησε μείνας ἐν τῇ σκεψει.
In Μ viii: 27 volte: §§ 1; 75; 85; 159; 160; 161 (bis); 183; 191; 279; 285; 295;
298; 299; 325; 328; 334; 349; 351; 440; 463; 470; 471; 473; 474; 476; 481. Da
segnalare viii 191: ἀλλ’ οἱ μέν φασιν αὐτὰ (sc. τὰ ἄδηλα) μὴ καταλαμβάνεσθαι, ὥσπερ
οἱ ἀπὸ τῆς ἐμπειρίας ἰατροὶ καὶ οἱ ἀπὸ τῆς σκέψεως φιλόσοφοι κτλ. (cfr. viii 328:
οἱ δὲ ἐμπειρικοὶ ἀναιροῦσιν (scil. τὴν ἀπόδειξιν) [...] οἱ δὲ σκεπτικοὶ ἐν ἐποχῇ ταύτην
ἐφύλαξαν). In Μ ix, 9 occorrenze sono sicuramente tecniche: §§ 49; 59; 191; 194;
195; 312; 331; 338; 366); le altre in ix 1 (ἐπίσκεψις); 2; 195; 331. In Μ x: 9 occor-
renze: §§ 5; 6; 15; 20; 49; 86; 237; 284; 310. In Μ xi: 16 volte: §§ 1 (bis); 19;
68; 111 (bis); 140; 144; 149 (bis); 155; 165; 167; 217; 243; 257. In Μ i-vi la situa-
zione di insieme muta notevolmente: nella parte proemiale di Μ i su 4 occorrenze
(§§ 26; 28; 29; 33), tutte sono rinvii ad altra opera di Sesto tranne § 28. In Μ
i (Contro i grammatici) 7 occorrenze (57; 95; 160; 305; 306; 315; 320), di cui solo
ἐπίσκεψις al § 95 sembra generico. In Μ ii 106 compare un rinvio ad altra opera di
Sesto. In v, compare 4 volte la forma composta ἐπίσκεψις in senso generico. La stati-
stica andrebbe completata con lo studio dell’uso del verbo, dove peraltro la distin-
zione del significato tecnico da quello non tecnico è spesso assai difficile da stabilire.
ed. by M. Schofield, M. Burnyeat and J. Barnes, Oxford 1980, pp. 54-83, v.
p. 54 nota 1; D. Sedley, The Motivation of Greek Skepticism, in The Skeptikal Tradi-
tion, cit., pp. 9-29, v. p. 21; sulla questione della presenza del termine in Filone,
K. Janáček, Das Wort “skeptikos” in Philons Schriften, «Listy Filologicke», cii (1979)
pp. 65-8; diversamente H. Tarrant, Scepticìsm or Platonism? The Philosophy of the
Fourth Academy, Cambridge 1985, pp. 22-3. Resta aperto il problema della terminolo-
gia greca corrispondente alla versione armena di Phil. quaest. in gen. iii 33. Se il
termine accostato ad “Accademici” era effettivamente, come sembrerebbe, σκεπτικοί,
si dovrebbe supporre che la tecnicizzazione del vocabolo sia avvenuta ad Alessandria,
a cavallo tra la fine del I a.C. e l’inizio del I d.C. La testimonianza di PH i 210
(οἱ περὶ τὸν Αἰνησίδημον ἔλεγον ὁδὸν εἶναι τὴν σκεπτικὴν ἀγωγήν κτλ.) non è significa-
tiva, perché il contesto mostra che Sesto riporta il pensiero di Enesidemo servendosi
della propria terminologia.
mono una particolare posizione all’interno della scuola anche in altri libri di Sesto:
per es., PH iii 183; Μ viii 32; 171; ix 1, ecc. Anche l’ultima parte di PH i (§ 210 sgg.)
presuppone delle fonti appartenenti all’indirizzo, la cui identificazione è tuttora assai
controversa.
ἀταραξία, ὥς φασιν οἵ τε περὶ τὸν Τίμωνα καὶ Αἰνεσίδημον.
Did. ap. Stob. ecl. ii p. 46 W.; S.V.F. iii 3 = Stob. ecl. ii 76, 16 W.).
d’ora” vel sim., ma “fino ad oggi”; si tenga presente la giusta osservazione del Fabri-
cius (PH p. 17 nota f): «nimirum non vult Scepticus futuro tempori praescribere,
quo fortasse ut aliter sentiat, inducere ipsum possit, itaque tantum narrat, quid sibi
hactenus de fine Scepticae videatur, et videatur ἀδοξάστως, sine alius sententiae
praeiudicio ».
φαντασίαι, secondo la terminologia invalsa con gli Stoici. Si ricordi però che il voca-
bolo viene usato da Timone (fr. 44 Diels) per Parmenide.
scopo di sottolineare il punto centrale.
i — Selektiver Kommentar, Bern-Stuttgart 1990, p. 38.
discute tesi dogmatiche assimilabili allo stoicismo (cfr. anche PH iii 240).
e di altri che parlarono di πραότης. Sesto ignora deliberatamente questo punto, salvo
ad usare una volta (PH iii 235) ἀπαθής come sinonimo di ἀτάραχος: ἐν μὲν δοξαστοῖς
ἀπαθὴς μένει, ἐν δὲ τοῖς κατηναγκασμένοις μετριοπαθεῖ. Per il ruolo dell’ ἀπάθεια in
Pirrone, cfr. test. 6; 10; 15 AB; 16; 69 Caizzi e il relativo commento.
setzt von M. Hossenfelder, Frankfurt a.M. 1985, p. 33.
peinture ancienne, publiés, traduits et commentés par A. Reinach, Paris 1921 (rist.
Chicago 1981). Il fatto che non esistano — almeno a stare alla raccolta del Reinach —
versioni parallele dell’aneddoto potrebbe confermare che esso fu trasmesso in un
ambiente relativamente chiuso, quale dovette essere quello pirroniano.
alcuni Scettici illustri “aggiunsero” ad atarassia e metriopatia (προσέθηκαν τούτοις)
la sospensione. Essi parlavano di tutte e tre, ο solo della sospensione? e in quale
rapporto le ponevano? Il problema dovrebbe essere affrontato in relazione con quanto
Sesto scrive di Arcesilao (PH i 232), dove si considera l’ ἐποχή come fine comune
agli Scettici e ad Arcesilao, mentre è proprio degli Scettici osservare che ad essa
segue l’atarassia. Qui, come nell’analogia corpo-ombra, l’accento sembra posto sulla
sospensione. Cfr., su questa questione, D. Sedley, The Motivation of Greek Skepti-
cism, cit., p. 20.
poraneo di Timone, Ieronimo di Rodi. Cfr. F. Wehrli, Die Schule des Aristoteles,
x: Hieronymos von Rhodos, Basel-Stuttgart 1969, pp. 30 sgg., che richiama la pre-
senza del tema in Epicuro. Sono molto frequenti, invece, le forme positive ὄχλημα,
ὀχληρός, ὄχλησις, ὄχλος, ecc.
plurale: sostituisce semplicemente un singolo nome (come accade spesso per forme
del tipo οἱ περί ecc.), oppure indica deliberatamente un gruppo di persone e dunque
è indizio dell’esistenza di una comunità in qualche misura “scolastica”?
τρόπους ὑποθήσομαι δι’ ὧν ἡ ἐποχὴ συνάγεται, οὔτε περὶ τοῦ πλήθους οὔτε περὶ τῆς
δυνάμεως αὐτῶν διαβεβαιούμενος· ἐνδέχεται γὰρ αὐτούς καὶ σαθροὺς εἶναι καὶ πλείους
τῶν λεχθησομένων. § 38: χρώμεθα δὲ τῇ τάξει ταύτῃ θετικώς. § 39: ταῦτα μὲν περὶ
τῆς ποσότητος αὐτῶν κατὰ τὸ πιθανὸν λέγομεν. Su tutto questo, cfr. J. Annas-J. Bar-
nes, The Modes of Scepticism. Ancient Texts and Modem Interpretations, Cambridge
1985; sul significato di σαθρός, ibid., pp. 49 sg.
che ancora manca è un commento continuo all’opera di Sesto che affronti sistematica-
mente l’esegesi del testo nelle molteplici prospettive necessarie alla sua piena com-
prensione.
nico” in Plat. resp. ii 374 e-376 c da K. A. Neuhausen, Platons “philosophischer”
Hund bei Sextus Empiricus, «Rheinisches Museum», cxviii (1975) pp. 240-64 (si legga
anche la divertente ricostruzione di J. E. B. Mayor, King James I. on the reasoning
faculty in dogs, «The Classical Review», xii (1898) pp. 93-6); Neuhausen tuttavia
trascura forse troppo il problema del bersaglio polemico di Sesto e dunque le vere
motivazioni per la stesura del brano e le conseguenti implicazioni cronologiche. Spero
di potermene occupare più ampiamente in un prossimo futuro.
guarda Socrate e non ci interessa), παίζειν compare in ii 211, altro passo ironico
particolarmente interessante: si tratta del capitolo Sulle definizioni (PH ii 205-212),
dove l’analisi stilistica rivela una serie di vocaboli di uso raro ο tardo (χρησιμεύειν,
ἀναγκαιότης, ματαιοπονία, ἐπισκυκλέω), una conclusione in prima persona (ἣν διὰ τὴν
προαίρεσιν τῆς γραφῆς παρίημι νῦν — τοσαῦτα μὲν καὶ περὶ ὅρων ἀπόχρη μοι νῦν
λελέχθαι) e l’inserzione, a proposito della definizione, di un esempio deliberatamente
grottesco (una variante più banale e imprecisa del quale, riferita ad Epicuro, si legge
nel Commentario anonimo al Teeteto (PBerol. inv. 9782), xxn 39-47, cfr. CPF ι 1,
51 6 Τ). K. Deichgräber, Die griechische Empirikerschule (1930), Berlin-Zürich 1965,
pp. 285 sgg., riconduce tale modo di procedere alla tradizione empirica; questo giudi-
zio richiede ulteriori verifiche.
stile e del contenuto del brano. Sulla cronologia di Sesto si veda il saggio recente,
forse eccessivamente scettico, di D. K. House, The Life of Sextus Empiricus, «The
Classical Quarterly», xxx (1980) pp. 227-38.
φωνή, πότερον πυσματική ἐστιν ἢ ἀξιωματική, καὶ ἐπί τινος τάσσεται, ἆρα γε τοῦ ἐκτὸς
ὑποκειμένου ἢ τοῦ περὶ ἡμᾶς πάθους;
pretendere di sostituirsi al filosofo nell’esegesi dei testi filosofici. Questo è un punto
che sembra stare particolarmente a cuore a Sesto.
cine’ de Celse: modèles et modalités, in Le Scepticisme antique, cit., pp. 85-96, v. p.
89: a proposito della διαφωνία: cur enim potius aliquis Hippocrati credat quam Hero-
philo? cur buie potius quam Asclepiadi? (Praef. 8).
II 2, pp. 19 sgg., § 474.
tus Empiricus, in Le Scepticisme antique, cit., pp. 123-38.
ἀν’ Ἑλλάδα ὁ παντάπασιν (Barnes: πάντα πᾶσιν) ἐξισώσας τἀν λόγῳ καὶ τὰν ἀτάραχον
ἐν βροτοῖς θεύσας ὁδόν Πυρρωνιαστὰς [Με]νεκλέης ὅδ’ εἰμὶ ἐγώ. Cfr. F. Decleva
Caizzi, Aenesidemus cit., p. 181.
μενον γινομένου πάθους; ΡΗ i 209: τὴν ἐφεκτικὴν ἀγωγήν; ii 9: τὴν ἐφεκτικὴν δὲ
εἰσάγειν φιλοσοφίαν; in ΡΗ ii 10 ὁ ἐφεκτικός è utilizzato, si direbbe, soltanto per evi-
tare la ripetizione dell’aggettivo σκεπτικός; M xi 152: οἱ ἐφεκτικοί (riprende ὁ περὶπάντων ἐπέχων al § 150).
Ioann. Philop. p. 13, 1, 2 sgg.; Ammon. p. 2, 9; Olymp. pp. 3, 32; 6, 1; Elias
p. 109, 24 sgg.; cfr. anche Eustath. in Od. n 2, p. 191, 34 sgg.; 250, 24; 256, 27,
ecc. La storia della confusione tra Accademici e Pirroniani in età tarda è ancora
da scrivere, così come lo è la storia della permanenza della dottrina dell’ ἐποχή. Cfr.,
ad esempio, Socrate Scolastico, che parla di efettici riferendosi ai Platonici che si
servono dell’ ἐποχή contro la dottrina delle categorie di Aristotele (hist. eccl.II 35):
οἱ ἐφεκτικοὶ τῶν φιλοσόφων, τὰ Πλάτωνος καὶ Πλωτίνου ἐκτιθέμενοι κτλ.
Ancient Philosophy», vi (1988) pp. 139-68, richiederebbe una discussione a sé stante.
In linea generale, mi pare che la tesi dell’adozione da parte di Enesidemo di una
metodologia platonica (uso dell’ οὐ μᾶλλον e del relativismo), atta ad evitare di incor-
rere nelle critiche di dogmatismo negativo che egli stesso rivolge all’Accademia, e
della forte differenza tra lo scetticismo di Sesto e quello “aporetico”, lo spinga a
trascurare eccessivamente il significato filosofico del messaggio principale che emerge
dalla testimonianza di Fozio, e cioè il richiamo alla tradizione pirroniana (l’articolo
non cita la testimonianza di Aristocle-Timone su Pirrone e tende ad offrire un quadro
del pirronismo di Sesto e di quello a lui precedente non altrettanto sofisticato di
quello che offre dello scetticismo “aporetico”, ritenuto alternativo ο addirittura in-
compatibile con esso). Rispetto all’analisi sottile e dettagliata di Woodruff, quella
offerta in queste pagine può sembrare semplificata e parziale, ma è soprattutto rivolta
a verificare se effettivamente Sesto sentisse, rispetto agli “aporetici”, il disagio che
Woodruff sembra attribuirgli.
συνερωτῶσιν κτλ., a cui corrisponde per il contenuto Μ x 326: πάρεστι δὲ καὶ
προηγουμένως ἀποροῦντας κτλ.; ma cfr. Μ viii 466, dove ritorna, sicuramente riferita
a dogmatici, la stessa frase.
servata in forma irrimediabilmente corrotta: ἀπορητικοὶ δ’ ἀπὸ τοῦ τοὺς δογματικοὺς
ἀπορεῖν καὶ αὐτούς.
risalire ad Enesidemo. Non vedo, in ogni caso, come si possa affermare con sicurezza
che esso riprende la terminologia platonica ( P.Woodruff, Aporetic Pyrrhonism, cit.,
p. 168), ignorando il fatto che esso è frequentissimo, né la cosa deve stupire, nella
tradizione medica.
σκεπτόμενοι, vii 30 τὸν ἀπορητικῶς φιλοσοφοῦντα. Μ viii 1: ὅσα μὲν ἀπορητικῶς εἴωθε
λέγεσθαι παρὰ τοῖς σκεπτικοῖς. Μ ix 12: σκεπτόμενοι ὁτὲ μὲν οἷον δογματικῶς περὶ
θεοῦ, ὁτὲ δὲ ἀπορητικώτερον περὶ τοῦ μηδὲν εἶναι τὸ ποιοῦν ἢ πάσχον. Μ iv 34:
ἀπορητικῶς διεξελθόντες. Μ vi 5: οἱ δὲ ἀπορητικώτερον πάσης ἀποστάντες τῆς τοιαύτης
ἀντιρρήσεως.
γησία, con la citazione di Timone; qui con ogni probabilità Sesto dipende stretta-
mente da Enesidemo.
della divinità al fine di evitare che l’atteggiamento scettico sia confuso dai profani
con un atteggiamento ateo.
“dogmaticamente” (περὶ ἀδήλου) se ne deve contrapporre uno che nega altrettanto
“dogmaticamente”.
quanto mi consta, in cod. 233, 292 a 27, ma il significato positivo consueto riferito
anche a teorie filosofiche (anche in Pirrone, ap. Diog. Laert. ix 61 = Test. 1 Caizzi)
rivela l’intento del patriarca; cfr. il giudizio sul neoplatonico Ermia (cod. 242, 341
a 13: Φιλοπονίᾳ μὲν οὗτος οὐδενὸς ἦν δεύτερος, ἀγχίνους δὲ οὔτι σφόδρα ἦν οὐδὲ λόγων
εὑρετὴς ἀποδεικτικών, οὐδὲ γενναῖος ἄρα ζητητὴς ἀληθείας· οὔκουν οὐδ’ οἷός τε ἐγε-
γόνει πρὸς ἀποροῦντας κατὰ τὸ καρτερὸν ἀνταγωνίζεσθαι.
tura; cfr., per l’analisi del passo, F. Decleva Caizzi, Aenesidemus cit., pp. 186-7.
pp. 90 sg.; L. Credaro, Lo Scetticismo degli Accademici (1893), rist. Milano 1985,
ii, pp. 226 sg. Nel caso di Timone il giudizio non sembra giustificato (cfr. infra, § 10).
Caizzi, Aenesidemus cit.
sto attraverso Sozione (citato in i 15) ο attraverso la fonte che a sua volta citava
Sozione; in ogni caso, si tratta di materiale non originariamente scettico. In Μ vii
30, viceversa, la citazione del verso degli Indalmi corrispondente al fr.
69 Diels = Pirrone Test. 63 Β è inserita in un contesto specificamente scettico, la
distinzione tra criterio logico e criterio pratico, che consente allo scettico di non
cadere nell’ ἀπραξία ο ἀνενεργησία, cfr. PH i 23; i 24; 226; Μ xi 162; 165. L’argo-
mento ritorna con più ampiezza in xi 141 sgg.; quest’utilizzazione di Timone doveva
risalire almeno a Enesidemo (cfr. Diog. Laert. ix 62 e spec. ix 106); essa risultava
consolidata nell’esegesi degli empirici (cfr. Gal. subfig. emp. p. 62, 20 sgg. Bon-
net = Pirrone Test. 67). Μ ix 57 contiene il fr. 5 Diels su Protagora. Anch’esso
sembra pervenuto a Sesto tramite fonti non pirroniane ma piuttosto biografiche,
come mostra l’agganciamento del fr. 4 al processo (Diog. Laert. ix 51-52); cfr.
F. Decleva Caizzi, Timone e i filosofi: Protagora (fr. 5 Diels), in Le scepticisme antique,
cit., pp. 41-53 e il commento di M. Di Marco, Timone di Fliunte. Silli, Roma 1989,
ad loc. Per x 197 ( = vi 66), cfr. PH iii 145; qui abbiamo tre testimonianze sullo
stesso argomento in tre opere diverse; propenderei a ritenere più antica quella in
Μ x 197, mentre PH iii 144 si presenta senza il nome e con un esempio differente.
Forte e significativa è la presenza di Timone nel libro xi: 1; 20; 140; 141; 164;
171-172. Per Μ ι 53; 305 si veda infra; per Μ iii 2; vi 66 ( = χ 197) cfr. F. Decleva
Caizzi, Timone di Fliunte: i frr. 74, 73, 76 Diels, in La storia della filosofia come
sapere critico, Milano 1984, pp. 92-105. Non sono attualmente in grado di rispondere
alla domanda se Sesto leggesse direttamente l’opera di Timone ο lo conoscesse solo
attraverso la tradizione indiretta (biografica, grammaticale, scettica in senso proprio).
Occorre tener presente, in ogni caso, che una cosa non esclude l’altra.
rianti, Μ vi 66; x 197 sgg.
Methods, Praha 1972, pp. 47-60.
grafi; cfr. da ultimo J. Brunschwig, La formule ὅσον ἐπί τῷ λόγῷ chez Sextus Empiri-
cus, in Le Scepticisme antique, cit., pp. 107-21, con ampia bibliografia.
36, 57 ecc.), ἀναρπάζω Μ i 273.
ἀπὸ (τοῦ) Πύρρωνος. Abbiamo già visto che essa appare nel resoconto foziano di Ene-
sidemo. L’analisi che segue mostrerà che si tratta di materiale attinto a fonti abba-
stanza antiche, solo in parte pirroniane. Può darsi che questa locuzione conservi l’uso
della fonte (il riferimento a Epicuro rivela la presenza di fonti di tipo biografico,
cfr. Diog. Laert. χ 8). A. Goedeckemeyer, Die Geschichte des griechischen Skep-
tizismus, Leipzig 1906, p. 7 nota 6, osserva: «Wohl schon auf Pyrrho dürfen wir
des Sextus Bemerkung math. I 5 beziehen». L’analisi i cui risultati sono presentati
in questo paragrafo mi ha portato a correggere alcuni giudizi che avevo espresso a
suo tempo (Prolegomeni ad una raccolta delle fonti relative a Pirrone di Elide, in Lo
scetticismo antico, Atti del Convegno organizzato dal Centro di Studio del pensiero
antico del C.N.R., Roma 5-8 nov. 1980, a cura di G. Giannantoni (“Elenchos”,
vi), Napoli 1981, pp. 93-128, e Pirrone. Testimonianze, cit.).
(forse riassorbito sotto la rubrica “ostilità”).
54, 1 su Platone, con il commento di M. Di Marco, Timone cit., p. 236.
ancora dire se questo possa essere significativo quanto alla fonte di Sesto.
tropo (cfr. supra, nota 59).
laudai (scil. Minodotus) non erat talli sed quietus quidam et mansuetus videlicet etc.
zioni, ecc.) sono chiare; (b) per essere dimostrata vera, un’asserzione gnomica richiede
non il grammatico, ma il filosofo; (c) se anche i grammatici sono utili allorché i poeti
esprimono concetti utili, non lo saranno allorché esprimono sentimenti, ο cose nocive
alla vita; (d) in questo caso la distinzione tra utile e non utile spetta al filosofo,
non al grammatico.
tata (supra, nota 73) sul Πυρρωνιαστής Menecles.
deve pensare alla parte perduta degli Σκεπτικά di cui abbiamo i libri vii-xi. Questo
sembra confermato dal rinvio, in Μ vi 66, ad opera con lo stesso titolo, che sembra
corrispondere a Μ x 197.
preciso e costante: cfr. supra, nota 1.
significato, come avevo a torto sostenuto in Pirrone. Testimonianze, cit., comm. a
Test. 45 e Prolegomeni cit., p. 111; si veda anche M. Di Marco, Timone cit., p. 12
nota 53.
poli 1981, pp. 187 sgg.
correttori di Omero, Diog. Laert. ix 113; l’ironica descrizione degli eruditi del Mu-
seo di Alessandria, fr. 12 Diels e l’Introduzione di Di Marco all’edizione dei Silli.
Ἐπικουρείων, ἐστὶ τοιαῦτα· ἡμεῖς δὲ μηδὲν κατειπόντες τῆς ποιητικῆς ἄλλως ποιώμεθα
τὰς ἀντιρρήσεις πρὸς τοὺς ἀξιοῦντας γραμματικὴν ἔχειν τέχνην τῶν παρὰ ποιηταῖς καὶ
συγγραφεῦσι λεγομένων διαγνωστικήν.
dei versi sono tutti di età ellenistica (il più recente, Archimede, è solo menzionato
con Eudosso come esempio di matematico); Diodoro Crono è citato in PH i 234;
ii 110; 242; Μ x 48; la discussione sul significato di οὐδέν μᾶλλον è esplicitata in
PH i 191; il passo su Empedocle richiama Μ vii 92, 101 ecc.; il testo contiene nume-
rosi hapax (per Sesto): § 303: ἀλαζονείαν (cfr. soltanto ii 20, τοὺς ἐν λόγοις ἀλαζονευ-
σαμένους); ὑπεροψίαν; ἀνεπιθώλητον.
significato dei versi di Timone, cfr. Pirrone. Testimonianze, cit., p. 255 e il commento
a Test. 61.
solo Pirrone?»; § 15: «Quello stesso straordinario Pirrone», «divenne ammiratore
di Pirrone»; § 17: «non vi sarebbe ragione di ammirare Pirrone»; cfr. anche § 12,
su Enesidemo.
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