— 385 —
Diogene Laerzio dà un resoconto dello scetticismo greco1 nella
Vita di Pirrone (IX 61-108) della quale costituisce un’appendice la
breve
Vita di Timone (IX 109-116). Dopo una sezione
introduttiva
che offre una concisa descrizione della vita e del pensiero del
filosofo
(IX 61-62), la Vita di Pirrone si divide in tre
parti principali. Si ha
innanzitutto una raccolta di materiale aneddotico mirante ad
illustrare
la speciale διάθεσις di Pirrone (IX 63-68). Seguono alcune
osservazioni
sui suoi discepoli e compagni con una discussione dei suoi
possibili
precursori (IX 68-73). Infine Diogene si dilunga a descrivere la
filo-
sofia matura dello scetticismo caratteristico del pirronismo (IX
74-108).
La Vita di Timone contiene una breve biografia del
personaggio e
termina con la presentazione della cosidetta “successione”
pirroniana2.
Questa schematizzazione del testo di Diogene suggerisce due
os-
servazioni preliminari. In primo luogo la Vita di
Pirrone, considerata
al livello più generale, ha una struttura lineare, nel senso
che non è
una farragine di annotazioni disparate, ma si presenta come
un’espo-
sizione unitaria. Sebbene Diogene sia talvolta accusato di
abborrac-
ciare il materiale con poca competenza, la Vita di
Pirrone dimostra
che egli aveva se non altro una certa capacità di organizzare
lettera-
— 386 —
riamente la composizione. In secondo luogo il materiale
filosofico
contenuto nella Vita supera di gran lunga quello
biografico. Infatti
i paragrafi di carattere strettamente filosofico (IX 74-108)
hanno una
estensione quattro volte maggiore di quelli biografici in senso
proprio
e, anche se aggiungiamo a questi ultimi quelli dedicati ai discepoli
e
ai precursori (comprendendo persino la Vita di Timone), la
parte filo-
sofica è ancora preponderante. È forse vero che in generale
nelle
Vite l’interesse di Diogene è più biografico che
dossografico e che le
questioni filosofiche sono chiamate in causa soprattutto per
la luce
che possono gettare su aspetti del carattere dei filosofi3, ma tutto
ciò non sembra valere per la Vita di Pirrone.
È ragionevole inferire che Diogene trovasse interessante la filo-
sofia
di Pirrone e che si aspettasse un pari interesse per essa da
parte dei suoi lettori.
Ma non c’è motivo di supporre che egli stesso
nutrisse inclinazioni per il
pirronismo4. Lo scetticismo ha affascinato
— 387 —
filosofi di ogni scuola e persino dilettanti: il taglio estremistico
e
risoluto dello scetticismo professato dai pirronisti dovette
sicuramente
infiammare, o almeno coinvolgere, soltanto una sparuta schiera
di
intellettuali greci. Comunque sia, questo lavoro si concentrerà sulle
sezioni
filosofiche della Vita di Pirrone, dal momento che
considererò
Diogene come uno storico del pirronismo e non come un biografo
di
Pirrone5.
— 388 —
Il modo normale di presentare una filosofia è quello di esporne
le
dottrine. Ma il pirronismo non ha dottrine6, giacché la sua
carat-
teristica distintiva è quella del rifiuto di ogni dottrina. D’altra
parte
i pirronisti non sono trappisti dato che parlano e scrivono. Quindi
il
primo problema dell’interprete è quello di sapere come analizzare
le espressioni dei
pirronisti e il primo problema dello storico è quello
di stabilire come presentare
una filosofia senza dottrine.
Diogene giustamente comincia la sua esposizione del pirronismo,
la sua
antidossografia si potrebbe dire, affrontando questi problemi.
Nella sezione
introduttiva della sua esposizione (IX 74-77) egli tenta
di spiegare la natura
generale del pirronismo come una filosofia che
ha un contenuto e che tuttavia non
asserisce nulla. Dopo aver fatto
ciò, egli abbozza la strategia generale dei
pirronisti, sempre pronti a
mettere in risalto le discordanze e le indicibili
anomalie delle cose
(IX 78). Connesse alla strategia sono le tattiche. Quelle dei
pirronisti
sono espresse dai “modi” o “tropi” (τρόποι), che danno luogo
ad
ἀντιθέσεις e portano all’ ἐποχή. Diogene quindi descrive i Dieci Modi
e i
Cinque Modi rispettivamente nei paragrafi 79-88 e 88-897.
I pirronisti, sebbene in linea di principio siano contrari ad ogni
dottrina8, si
accaniscono in particolare contro le pretese dei filosofi
dogmatici. Quindi essi
“tolgono di mezzo” o rigettano le prove (IX
90-94), i criteri di verità (IX 94-95),
i segni (IX 96-97), le cause (IX
— 389 —
97-99), il movimento (IX 99), l’apprendimento (IX 100), la
genera-
zione (IX 100), l’etica naturalistica (IX 101). L’attacco congiunto
ai
criteri di verità e alle prove è il perno della strategia dei pirronisti e
ad
esso naturalmente Diogene concede lo spazio maggiore.
Dopo una pausa ben marcata (IX 102), Diogene presenta le due
tipiche
ritorsioni dei dogmatici nei confronti dei pirronisti: essi cadono
surrettiziamente
nel dogmatismo (IX 102-104) e, inoltre, rendono im-
possibile la vita (IX 104-105).
L’esposizione della filosofia del pirro-
nismo termina con una breve discussione
dialettica del criterio del-
l’azione (IX 106-107)9 e del “fine” ο τέλος (IX 107-108) di
questa
filosofia.
Una storia della filosofia, come ogni altra storia, può essere
valu-
tata sulla base di differenti considerazioni e nell’ambito di
dimensioni
diverse. Nel caso di Diogene è importante tenere ben distinte
queste
diverse considerazioni e dimensioni.
A proposito della dossografia (sit venia verbo)
di Diogene sul
pirronismo solleverò quattro interrogativi, a tre dei quali darò
una
risposta rapida, mentre il quarto dovrà essere discusso più a lungo.
I primi tre riguardano principalmente l’opera, mentre il quarto
con-
cerne l’autore. Le domande sono le seguenti: (a) la dossografia
è
coerente, ossia fornisce una descrizione sufficientemente unificata
e
intelligibile del pirronismo, oppure è un’accozzaglia di pezzi disparati?
(b) La dossografia è attendibile? Possiamo fidarci di essa per
avere
informazioni genuine sugli scettici antichi o dobbiamo metterla
da
parte perché prevenuta o disinformata o confusa o comunque raffaz-
— 390 —
zonata? (c) Che valore ha per noi la dossografia? Rappresenta un
incremento
della nostra conoscenza del pirronismo, oppure la sua per-
dita produrrebbe
solo una scarsa diminuzione della nostra compren-
sione della scuola? (d) Fino
a che punto la dossografia è opera per-
sonale di Diogene? La compose egli
stesso o la plagiò da altri?
Gli studi moderni prendono in considerazione quasi esclusiva-
mente
la quarta di queste questioni, certamente per comprensibili e
nobili motivi,
mentre, meno ragionevolmente, tendono a considerare
le questioni (a)-(c) come
semplici corollari della questione (d). Per
quanto (d) possa monopolizzare
l’attenzione, è importante sottolineare
che esistono anche i quesiti (a)-(c), che
essi hanno rilevanza per la
valutazione delle Vite di
Diogene e che sono in larga misura indi-
pendenti dalla questione (d) e quindi
dalle incertezze e controversie
che circondano quest’ultimo problema.
C’è poco da dire sulla prima questione. La struttura della
dos-
sografia sul pirronismo, analogamente a quella dell’intera Vita, è con-
siderevolmente chiara e coerente10. In effetti un filosofo
moderno al
quale fosse chiesto di scrivere un sommario di una dozzina di
pagine
dell’antico pirronismo, difficilmente potrebbe far di meglio che
para-
frasare Diogene. Egli con ciò ometterebbe qualcosa che era impor-
tante
nel pirronismo antico (specialmente la critica della logica for-
male che
troviamo in Sesto, PH 11 e M VII-VIII,
come anche gli at-
tacchi contro specifiche arti e scienze che Sesto scaglia in
M I-VI),
ma ogni sommario omette qualcosa e le
omissioni di Diogene non sono
poi mal studiate.
— 391 —
Naturalmente l’esposizione diogeniana non è immune da critiche.
Vi
sono punti in cui è oscura. In alcuni di questi luoghi l’oscurità
dipende
probabilmente dal testo. Esso è in generale notevolmente cor-
rotto (non c’è
ancora una buona edizione critica delle Vite11) e la
— 392 —
Vita di Pirrone ha la sua
aliquota di cruces12. In altri luoghi l’oscu-
rità è dovuta al tipo di esposizione condensata
e contratta. Così la
— 393 —
trattazione che Diogene fa dei Dieci Modi talvolta degenera al
livello
di appunti e ripudia ogni esplicita connessione logica. (Si veda
ad
esempio il paragrafo 82 dove i riferimenti a Teone stoico e allo
schiavo
di Pericle non hanno alcun sostegno nel testo principale, op-
pure il paragrafo
86 dove la frase «calori o freddi o [...]» si trova
sorprendentemente nel Modo
derivante dalla quantità.) Altrove rimane
la forma argomentativa, ma i passi
soppressi sono tali e tanti che la
coerenza è smarrita. (Si veda ad esempio il
paragrafo 101: non è
per niente chiaro dal contesto che rapporto abbia con
l’argomento
la frase ἤτοι γὰρ πᾶν τὸ ὑπό τινος κτλ. È solo perché
possiamo
trovare una versione più estesa della stessa argomentazione in
Sesto
(Μ XI 71-72; cfr. PH III
179-183) che siamo in grado di capire il
passo di Diogene.)
Comunque, c’è un solo luogo nell’esposizione in cui ravviso
una
incoerenza più profonda e meno perdonabile. Nel fare il sommario
della
dossografia ho omesso un passo dei paragrafi 92-94 (OCT:
483.16-484.15) che raccoglie diversi argomenti contro i
dogmatici.
Il contenuto del passo è sufficientemente intelligibile, mentre non
lo
è la sua posizione nel contesto, giacché esso è collocato nell’ambito
— 394 —
della discussione dell’attacco alla nozione di prova, senza che ci
sia
alcun ragionevole motivo per integrarlo nell’attacco stesso. Il
passo
avrebbe una collocazione migliore se fosse posto dopo il paragrafo
89 e
prima dell’attacco alla nozione di prova. Si deve forse dire che
il testo ha
subito uno spostamento nel corso della trasmissione e che
dovrebbe essere rimesso
nella posizione che ho suggerito, ma è più
probabile riconoscere qui una
negligenza di composizione da parte
di Diogene.
Il secondo interrogativo riguarda l’affidabilità dell’esposizione
dio-
geniana del pirronismo. A questa questione si può dare, mi sembra,
una
risposta assai sicura. Abbiamo la fortuna di possedere due ampie
opere di Sesto
Empirico sul pirronismo. Una buona parte dell’espo-
sizione di Diogene si
sovrappone a quella di Sesto13. Non sono
riu-
scito a trovare un solo passo di Diogene in cui il confronto con
Sesto
si risolva in un’imputazione di inattendibilità. Vi sono sì discre-
panze, ma la
maggior parte di esse è di poco conto e esse suggeriscono
non che Diogene abbia
travisato le argomentazioni dei pirronisti, ma
che egli e Sesto abbiano riportato
forme diverse e ugualmente auten-
tiche delle stesse argomentazioni14.
— 395 —
Da ciò non segue — nel senso strettamente logico — che Dio-
gene sia
attendibile là dove non si sovrappone a Sesto. Ma non
c’è
nulla di intrinsecamente sospetto nei passi che non hanno parallelo
in Sesto e
sarebbe poco ragionevole supporre che la attendibilità di
Diogene venga meno
appena il suo resoconto del pirronismo cessi di
coincidere con un altro qualunque
rimastoci.
L’interrogativo (c) è essenzialmente relativo: quali notizie —
esso
chiede — Diogene fornisce a noi? Se Sesto fosse andato perduto,
Diogene
sarebbe inestimabile, diventando la nostra fonte principale
per la conoscenza del
pirronismo. Ma la sopravvivenza delle opere
di Sesto significa che possediamo
nella maggioranza dei casi infor-
mazioni più ricche e complete su quelle parti
del pirronismo che Dio-
gene ci riassume.
Ma anche avendo a disposizione Sesto, non possiamo fare a meno
del
tutto di Diogene. In primo luogo vi sono molti piccoli dettagli
che compaiono in
Diogene, e non in Sesto, specialmente, ma non
esclusivamente, per quanto riguarda
il resoconto dei Dieci Modi dove
Diogene aggiunge alcuni tocchi al canovaccio
presentato da Sesto. In
secondo luogo, anche quando si sovrappone a Sesto,
Diogene è spesso
così diverso nell’ordine dell’esposizione o nella forma
specifica della
sua argomentazione, che il confronto con la versione di Sesto
risulta
un’operazione utile15.
— 396 —
In terzo luogo, e ciò è quel che più conta, vi sono almeno
due
luoghi16 in cui Diogene va sicuramente al di là di Sesto. La parte
del
paragrafo 78 sulla “strategia” del pirronismo, per quanto mi è
dato di sapere,
non ha alcun parallelo negli scritti di Sesto. Né hanno
uno stretto parallelo con
Sesto i paragrafi 102-105 riguardanti le due
obiezioni dei dogmatici: benché vi
siano vaghe connessioni di questi
passi con diversi testi di Sesto, la maggior
parte del materiale offerto
da Diogene non è reperibile in Sesto e, cosa ancor
più significativa,
il suo uso e il modo in cui è organizzato sono caratteristici
di Diogene.
L’obiezione dei dogmatici, secondo la quale gli scettici
rendono
impossibile la vita, è, sia dal punto di vista storico sia da quello
filo-
sofico, una delle questioni fondamentali che lo studioso dello
scet-
ticismo antico deve affrontare. In Sesto c’è molto che ha a che
fare
con questo problema, ma il materiale offerto non è sufficiente
per
risolverlo e si può sospettare che Sesto non avesse a questo proposito
un
punto di vista chiaro e coerente17.
Il contributo di Diogene, pur
essendo un valido complemento di quanto dice Sesto,
non ha ricevuto
una sufficiente attenzione negli studi.
Negli ultimi paragrafi il nome “Diogene” si riferiva al
contenuto
della Vita di Pirrone. È giunto il momento di
riferirlo a Diogene
stesso e di prendere in considerazione l’interrogativo (d).
Ho sugge-
rito che la parte filosofica della Vita di
Pirrone è un’esposizione utile,
affidabile e coerente dello scetticismo. Ma
questo non torna neces-
sariamente a merito di Diogene stesso. Infatti è —
possiamo ora dire
“fu”? — un luogo comune fra gli studiosi che Diogene fosse
un
imbecille: ogni assurdità nelle Vite va ascritta a lui,
mentre di quel
che ha senso dobbiamo cercare altrove la fonte. La questione
delle
— 397 —
fonti, la Quellenforschung, è stato l’obiettivo
primario delle ricerche
su Diogene.
Diogene si basa per tutti i suoi scritti su fonti precedenti.
Così
fanno tutti gli storici e se siamo interessati a valutare un autore
come
storico, il fatto che egli si appoggi a fonti non è di alcuna rilevanza,
o piuttosto, dovremmo tacciarlo di ciarlataneria se egli facesse
altri-
menti. Quel che conta è la natura delle fonti usate e come
sono state
usate. Per esempio il nostro autore si è limitato a pren-
dere il primo paio di
libri capitatigli in mano e a lavorare esclusi-
vamente su di essi? Oppure egli
ha fatto il tentativo di consultare
tutte le fonti principali? Ha accettato
acriticamente tutto quello che
ha letto, oppure ha usato un criterio di giudizio
nella selezione e
valutazione del materiale? Ha semplicemente copiato tratti di
autori
precedenti collegandoli insieme? Oppure ha cercato di riforgiarli
e
trasformarli in un’esposizione personale?
Questi interrogativi, ed altri simili, sono di primaria
importanza
per la valutazione di uno storico18. Ora la Quellenforschung è un’im-
presa inebriante e gli studiosi
che si danno ad essa si perdono nelle
sue delizie finendo per trascurare le
opportune distinzioni. Essi si
domandano: “Qual’è la fonte?” e, dopo aver esibito
una risposta
che soddisfa loro (se non altri), pensano che il loro compito sia
finito.
In relazione con la dossografia sul pirronismo possiamo ordinare
le
risposte alla questione (d) riferendoci a due posizioni estreme. Da
una parte c’è
la posizione del “conservatorismo ingenuo” che sostiene
che i paragrafi
dossografici sono opera genuina di Diogene: come ogni
altro buono storico egli
avrebbe letto le fonti rilevanti, prendendo ab-
bondanti note, e avrebbe scritto
il saggio dopo aver organizzato le
sue idee. All’altro estremo si trova il
“radicalismo ingenuo”: la dos-
sografia sarebbe stata semplicemente trascritta da
un solo testo e, a
parte alcuni pochi enunciati ed espressioni che sono proprio
suoi,
Diogene avrebbe fondamentalmente riprodotto l’opera di un altro
— 398 —
studioso. Le due posizioni estreme differiscono fra loro in due
dimen-
sioni, e precisamente: (I) per il numero e la varietà delle
fonti
usate da Diogene e (II) per la sua prossimità ad esse. Le
altre
risposte intermedie alla questione (d) si differenziano da quelle
estreme
per una sola o per entrambe le dimensioni. Così la posizione
secondo
la quale Diogene avrebbe fatto sostanzialmente excerpta è più vicina
al conservatorismo per ciò che concerne il numero
delle fonti, mentre
è più vicina al radicalismo per quanto riguarda
l’approssimazione:
Diogene ha usato una varietà di fonti, le quali egli ha pure
copiato.
Invece il punto di vista secondo il quale Diogene avrebbe
rielaborato
il materiale è conservatore con riferimento alla prossimità, ma
radicale
nei confronti del numero delle fonti: Diogene ha usato poche
fonti,
sulla base delle quali ha composto un saggio personale.
Almeno all’inizio un conservatorismo estremo potrebbe sembrare
la
risposta più caritatevole e insieme più ragionevole al quesito (d).
Dopo tutto
Diogene nei paragrafi 74-108 cita per nome non meno di
dieci fonti diverse19 ed accenna anonimamente ad altre20; di
più, le
parti non filosofiche della Vita di Pirrone fanno
riferimento ad altre
fonti, alcune delle quali notoriamente trattavano anche
aspetti filosofici
del loro oggetto21. Inoltre la struttura coerente della Vita sembra
attestare che un unico autore l’abbia creata. Che cosa c’è
dunque di
più naturale che prendere Diogene alla lettera e abbracciare il
con-
servatorismo?
Ma pochi studiosi sono conservatori in questo senso. Essi
sotto-
lineano che Diogene cita le “sue” fonti di seconda o di terza mano
e
che egli ha davvero consultato solo una o due di esse22.
L’apparenza
— 399 —
di un’informazione accurata può essere ingannevole. Ma tali
riflessioni
di carattere generale hanno poco significato: dobbiamo rivolgerci
ai
testi. Il punto di partenza migliore lo fornisce la nota di Diogene
stesso
sulle fonti nel paragrafo 102.
Dopo aver concluso l’esposizione degli argomenti distruttivi
dei
pirronisti e prima di volgersi alle obiezioni dei dogmatici,
Diogene
afferma quanto segue:
ἔστι δὲ καὶ τὸν ὅλον τῆς συναγωγῆς αὐτῶν τρόπον συνιδεῖν ἐκ τῶν
ἀπολειφθεισῶν συντάξεων. αὐτὸς μὲν γὰρ ὁ Πύρρων οὐδὲν ἀπέλιπεν,
οἱ μέντοι συνήθεις
αὐτοῦ Τίμων καὶ Αἰνεσίδημος καὶ Νουμήνιος καὶ
Ναυσιφάνης καὶ ἄλλοι τοιοῦτοι.
Hirzel ha attirato l’attenzione sulle stranezze dell’ultima frase e
ha
proposto di eliminare Τίμων [...] τοιοῦτοι, in quanto glossa margi-
nale,
per di più non intelligente23. Devo confessare
che simpatizzo
con questa proposta e trovo difficile credere al giovane discepolo
di
Pirrone Numenio che figura in posizione preminente in certe espo-
sizioni
del primo pirronismo24. Ma queste
questioni controverse non
— 400 —
sono rilevanti per il nostro problema. Di sicuro Diogene
asserisce
senza ambiguità che c’erano συντάξεις scritte da pirronisti dalle
quali
si può ricavare una visione generale del pirronismo.
Ora si potrebbe prendere questa asserzione come un’ammissione
da
parte di Diogene che tutta la sua esposizione filosofica, o almeno
i paragrafi
74-101, sarebbe tratta proprio da una tale σύνταξις. Ma
non è così: il passo mi
sembra al contrario implicare che Diogene
non abbia tratto la sua esposizione da
un’opera pirronista. Questa
implicazione riposa unicamente sulle parole ἔστι δὲ
ΚΑΙ. Ritengo
che qui καί significhi “anche” e che il suo raggio d’azione
debba
essere tutta la frase che segue fino a συντάξεων. (In effetti
Diogene
ha appena offerto una visione generale e quindi egli non può
com-
prensibilmente dire: «si può ottenere anche una
visione generale
[ossia oltre alle altre cose che ho ora presentato] dalle loro
συντά-
ξεις».) Pertanto quel che egli dice è: «Ho già presentato
un’espo-
sizione generale del pirronismo; naturalmente si può trarne una
anche
dai loro scritti ».
Questo confronto fra le συντάξεις e l’esposizione presentata
da
Diogene stesso è in qualche modo a favore del conservatorismo, giac-
— 401 —
ché implica che il resoconto del pirronismo, o almeno i paragrafi
74-
101, sarebbe stato composto dallo stesso Diogene. Tuttavia riesco
a
immaginare alcune obiezioni contro questa conclusione25. L’argo-
mento dipende
interamente dalla parola καί e c’è da chiedersi se
siamo autorizzati a conferire
tanto peso ad essa: Diogene è uno scrit-
tore così accurato da consentirci di
trarre conclusioni grandiose da
piccole particelle? — Concedo che Diogene non
scriva sempre con
un’attenzione scrupolosa per i dettagli; in particolare c’è più
di un
καί nella Vita che trovo sconcertante26. Tuttavia è possibile dare un
senso preciso a questo καί. (II) Forse il paragrafo 102 — si potrebbe
dire
— implica davvero quel che qui si è supposto che implichi.
Tuttavia perché
dovremmo credere a questa implicazione? Può darsi
che Diogene ci voglia mettere
sulla strada sbagliata, nel senso che
egli avrebbe tratto la sua esposizione
interamente da una sola σύν-
ταξις, facendoci credere che è opera sua. — In linea
di principio è
difficile rispondere ad insinuazioni di questo genere. Se
avessimo
motivi indipendenti per credere che Diogene voglia
effettivamente
indurci in errore, potremmo giustamente sospettare che egli stia
fa-
cendo proprio questo nel paragrafo 102. Ma un’accusa immotivata
di
imbroglio è difficilmente confutabile nell’ambito della ricerca
storica,
così come lo è al tavolo di bridge, e per l’una e per l’altra sono
por-
tato a non tenerne conto fino a prova contraria. (III) Forse —
si
potrebbe ancora dire — dobbiamo credere all’implicazione, ma non
possiamo
ancora inferire da ciò che Diogene stesso abbia composto
la dossografia. Dopo
tutto l’implicazione stabilisce soltanto che l’espo-
— 402 —
sizione non è stata tratta da una σύνταξις pirronista e ciò
non
esclude l’ipotesi che essa sia stata interamente copiata da una fonte
non
pirronista. Possiamo credere in tutto quello che è implicato
dal paragrafo 102
senza attribuire proprio a Diogene la composizione
dei paragrafi 74-101. — Anche
questa obiezione è difficilmente con-
futabile. Essa ascrive una suppressio veri a Diogene nel senso che
egli farebbe capire
di non aver copiato da una fonte pirronista, senza
però alludere al fatto che
avrebbe copiato da una fonte non pirro-
nista. Forse la suppressio veri è un peccato veniale. Ma secondo me
l’obiezione dovrebbe
essere considerata improbabile ed anzi troppo
sottile27.
Il paragrafo 102 non consente di trarre una conclusione
sicura.
Tuttavia possiamo dire che le parole di Diogene implicano che
egli
non ha copiato la dossografia sul pirronismo da un manuale pirro-
nista
e suggeriscono che egli non l’ha tratta da alcun altro testo.
Tuttavia tanto
l’implicazione quanto il suggerimento possono essere
messi in dubbio28.
Passiamo ora a considerare i Cinque Modi. Ad essi si
richiama
frequentemente Sesto nelle sue opere. In effetti si può dire che
essi
forniscono gli strumenti logici a gran parte degli argomenti con
cui
Sesto critica i filosofi dogmatici. Ciononostante i Cinque Modi
sono
descritti solo due volte nelle fonti che ci sono pervenute e
precisa-
mente in Diogene, ΙΧ 88-89, e in Sesto, PH Ι
164-177. È opportuno
presentare sinotticamente le due versioni.
— 403 —
τούτοις ἄλλους πέντε
[scil. τρόπους] προσ-
εισάγουσι, οἱ δὲ νεώτεροι σκεπτικοὶ
παραδιδόασι τρόπους τῆς
ἐποχῆς πέντε τούσδε· 5 τόν τ ' ἀπὸ τῆς δια-
φωνίας καὶ τὸν εἰς
ἄπειρον ἐκβ άλλοντα
καὶ τὸν πρός τι καὶ
τὸν ἐξ ὑποθέσεως καὶ πρῶτον τὸν ἀπὸ τῆς δια-
φωνίας, δεύτερον τὸν
εἰς ἄπειρον ἐκβάλλοντα,
τρίτον τὸν ἀπὸ τοῦ πρός
τι, τέταρτον τὸν 10 τὸν δι' ἀλλήλων. ὑποθετικόν, πέμπτον
τὸν διάλληλον. ὁ μὲν οὖν ἀπὸ τῆς
διαφωνίας ὃ ἂν προ-
τεθῆι ζήτημα παρὰ καὶ ὁ μὲν ἀπὸ τῆς
διαφωνίας ἐστὶ καθ' ὃν
περὶ τοῦ προτεθέντος 15 τοῖς φιλοσόφοις ἢ
τῆι συνηθείαι πλεί-
στης μάχης καὶ ταρα-
χῆς πλῆρες ἀποδεικ-
νύει.29 πράγματος ἀνεπίκριτον
στάσιν παρά τε τῶι βίωι
καὶ παρὰ τοῖς φιλοσόφοις
εὑρίσκομεν γεγενημένην
δι' ἣν οὐ δυνάμενοι 20 αἱρεῖσθαί τι ἢ ἀπο-
δοκιμάζειν καταλήγομεν
εἰς ἐποχήν. ὁ δ' εἰς ἄπειρον ἐκ-
βάλλων οὐκ ἐᾶι βεβαι- ὁ δὲ ἀπὸ τῆς εἰς ἄπειρον
ἐκπτώσεως ἐστὶν ἐν ὧι τὸ 25 οῦσθαι τὸ ζητούμενον
διὰ τὸ ἄλλο ἀπ' ἄλλου
τὴν πίστιν λαμβάνειν
καὶ οὕτως εἰς ἄπειρον.
φερόμενον εἰς πίστιν τοῦ
προτεθέντος πράγματος
πίστεως ἑτέρας χρήιζειν
λέγομεν, κἀκεῖνο ἄλλης
καὶ μέχρις ἀπείρου, ὡς 30 μὴ ἐχόντων ἡμῶν πόθεν
ἀρξόμεθα τῆς κατασκευῆς
τὴν ἐποχὴν ἀκολουθεῖν. ὁ δὲ πρός τι οὐδέν
φησι καθ' ἑαυτὸ ὁ δὲ ἀπὸ τοῦ πρός τι, καθὼς
προειρήκαμεν, ἐν ὧι πρὸς 35 λαμβάνεσθαι ἀλλὰ μεθ' μὲν τὸ κρῖνον καὶ τὰ
— 404 —
εἶναι. συνθεωρούμενα τοῖον ἢ
τοῖον φαίνεται τὸ
ὑποκείμενον, ὁποῖον
δὲ ἔστι πρὸς τὴν φύσιν 40 ἐπέχομεν. ὁ δ' ἐξ ὑποθέσεως
τρόπος συνίσταται
οἰομένων τινῶν τὰ
πρῶτα τῶν πραγμά- ὁ δὲ ἐξ ὑποθέσεως ἔστιν
ὅταν εἰς ἄπειρον
ἐκβαλλόμενοι οἱ δογματικοὶ
ἀπό τινος ἄρξωνται ὃ οὐ 45 των αὐτόθεν δεῖν λαμ-
βάνειν ὡς πιστὰ καὶ
μὴ αἰτεῖσθαι˙ ὅ ἐστι
μάταιον˙ τὸ ἐναντίον
γάρ τις ὑποθήσεται. κατασκευάζουσιν ἀλλ'
ἁπλῶς καὶ ἀναποδείκτως
κατὰ συγχώρησιν λαμβάνειν
ἀξιοῦσιν. 50 ὁ δὲ δι' ἀλλήλων τρό-
πος συνίσταται ὅταν
τὸ ὀφεῖλον τοῦ ζητου-
μένου πράγματος εἶναι
βεβαιωτικὸν χρείαν ὁ δὲ διάλληλος τρόπος
συνίσταται, ὅταν τὸ
ὀφεῖλον τοῦ ζητουμένου
πράγματος εἶναι
βεβαιωτικὸν χρείαν ἔχηι 55 ἔχηι τῆς ἐκ τοῦ ζητου-
μένου πίστεως, οἷον εἰ
τὸ εἶναι πόρους τις βε-
βαιῶν διὰ τὸ ἀπορροίας
γίνεσθαι, αὐτὸ τοῦτο τῆς ἐκ τοῦ ζητουμένου
πίστεως. ἔνθα μηδέτερον
δυνάμενοι λαβεῖν πρὸς
κατασκευὴν θατέρου, περὶ
ἀμφοτέρων ἐπέχομεν. 60 παραλαμβάνοι πρὸς βε-
βαίωσιν τοῦ ἀπορροίας
γίνεσθαι. 30
I due testi sono assai simili e addirittura identici alle linee
50-56,
a parte una parola (διάλληλος in PH e δι’ ἀλλήλων
in DL). Que-
sta identità non può essere accidentale, per cui possiamo
ragionevol-
mente concludere con la seguente disgiunzione: o Diogene ha
tratto
la sua esposizione da PH31, oppure tanto Diogene quanto PH
dipen-
dono da una fonte comune. (In effetti Diogene compose la sua opera
— 405 —
dopo quella di Sesto e a ogni modo nessuno studioso può supporre
che
Sesto abbia copiato da Diogene.)
Qualunque di queste alternative sia vera, il confronto con PH
mostra che nei Cinque Modi se non altrove Diogene era un
copista.
Bisogna considerare la natura e l’entità delle differenze che
inter-
corrono fra l’esposizione di Diogene e quella di Sesto. Fra i due
testi
vi sono numerose piccole differenze ed alcune di maggiore
consistenza.
Sebbene anche quelle piccole possano essere di per sé
significative,
prenderò in considerazione solo quelle maggiori.
Innanzitutto Diogene non fa riferimento all’ ἐποχή nella sua
espo-
sizione. Al contrario in PH l’ ἐποχή è il ritornello
che accompagna
le cinque strofe dei Modi. Invece Diogene fa riferimento in un
solo
caso all’ “intensissimo contrasto” e “grande confusione” (la quale
cosa
è abbastanza pirronista) e in un altro soltanto all’inconoscibilità
(ἀγνω-
σία) delle cose, che un pirronista rigoroso e prudente non
avrebbe
asserito32.
In secondo luogo Diogene nomina il proponente33 dei Cinque
— 406 —
Modi, mentre Sesto non lo nomina. Del resto Sesto non menziona
mai
Agrippa che è sconosciuto al di fuori delle pagine di Diogene34.
In terzo luogo Diogene fa una breve illustrazione del quinto
Modo,
che è invece omessa da PH.
In quarto luogo vi sono due significative differenze di
contenuto
nelle due esposizioni del quarto Modo. PH in
realtà non dice né
quale sia il Modo né come operi, dato che ci viene detto
soltanto
quando (ὅταν)35 è applicabile, mentre il resto è lasciato alla
nostra
immaginazione. Al contrario Diogene osserva che la pratica dei
dogma-
tici di procedere a partire da principi primi non argomentati « è
vana,
perché uno può ipotizzare il contrario » (cfr. PH i
173) 36. Inoltre i
dogmatici di
Diogene in questo Modo usano il linguaggio dei peripa-
tetici, giacché essi
pensano che τὰ πρῶτα [...] δεῖ λαμβάνειv ὡς
πιστά. Invece in PH
i dogmatici κατὰ συγχώρησιν λαμβάνειν ἀξιοῦ-
σιν, venendo quindi descritti in
termini stoici. Ciascuna delle due ter-
minologie è appropriata, dato che nella
prospettiva pirronista non c’è
differenza rilevante fra le due posizioni. Ciò non
toglie tuttavia che
esse siano perfettamente distinte dal punto di vista dei
dogmatici.
Infine l’esposizione diogeniana del terzo Modo si allontana
da
quella di Sesto. Anche il testo di PH Ι 135 al quale
Sesto fa allusione
non si sovrappone con questo di Diogene.
Come spieghiamo queste differenze fra le due esposizioni dei
Cinque
Modi? È chiaro che Diogene non “copiò” in senso stretto
— 407 —
dal testo di Sesto. È possibile che PH fosse la
sua fonte principale
per i Modi che egli rielaborò pienamente forse sulla base di
un’altra
fonte secondaria. Tuttavia è più plausibile ricavare dalle
differenze
la conclusione che Diogene non può aver tratto i Cinque Modi
da
PH e quindi che Diogene e Sesto hanno usato una
fonte comune.
Questa è di fatto la posizione che ha assunto uno dei più
importanti
studiosi di Sesto del nostro secolo, Karel Janáček37.
Il punto di vista di Janáček sui Cinque Modi è il corollario di
una
tesi generale concernente la relazione fra Diogene e Sesto che
egli ha sviluppato
in una serie di articoli38. Questa
tesi è a sua volta
collegata strettamente ai suoi fondamentali studi sul
pirronismo in
— 408 —
Sesto. Le argomentazioni di Janáček procedono dalla raccolta di
nu-
merose minutiae stilistiche, per cui non si prestano
ad essere riassunte.
Mi limiterò qui a metterne in evidenza il sapore senza
pretendere
di distillarne l’essenza.
Gli articoli pubblicati da Janáček mettono a confronto Diogene,
IX
97-99 con M XI 207-217 e Diogene, IX 101 con M XI 69-75.
Janáček osserva che emergono conclusioni simili se si mette
a con-
fronto il resto della dossografia sul pirronismo in Diogene con i
passi
corrispondenti di Sesto. I testi confrontabili, per quel tanto che
posso
essermene reso conto, sono elencati nella appendice del presente
lavoro39.
I confronti di Janáček mostrano primariamente e
incontroverti-
bilmente che, sebbene la versione di Sesto sia generalmente
molto
più estesa di quella di Diogene, esiste una sostanziale somiglianza
fra
le due versioni, somiglianza che diviene in alcuni luoghi identità sia
di
argomentazione sia di linguaggio. Le somiglianze mostrano che qui,
come nel caso
dei Cinque Modi, o Diogene ha copiato da Sesto op-
pure entrambi gli autori hanno
attinto ad una fonte comune.
I punto successivo nell’argomentazione di Janáček è quello
de-
cisivo ed anche quello discutibile. Esso riguarda le “differenze”
fra
Sesto e Diogene in quei luoghi in cui i loro testi sono molto “simili”.
È
naturale supporre che le differenze siano presenti, almeno nella mag-
gior parte
dei casi, perché Diogene ha seguito Sesto senza tuttavia
copiarlo alla lettera.
Janáček tuttavia rifiuta questa supposizione.
A proposito di queste differenze Janáček scrive: «i cambiamenti
che
si trovano nel testo di Sesto rispetto a quello di Diogene riflettono
esattamente
i cambiamenti che Sesto apportò a numerosi passi di PH
in
M VII-IX» ([1], p. 53). Un facile esempio fra i molti a
disposizione
renderà chiara la posizione di Janáček. Nel paragrafo 97
(485.20)
Diogene scrive: τὰ δὲ πρός τι ἐπινοεῖται μόνον. La frase
corrispon-
dente in M IX 208 suona: τὰ δὲ γε πρός τι
ἐπινοεῖται μόνον. Dio-
gene usa δέ γε altrove e non avrebbe avuto motivi di
ordine stilistico
per evitare quest’espressione, se essa si fosse trovata nella
sua fonte.
(In altri termini, se M fosse stata la sua
fonte, egli avrebbe scritto
— 409 —
δέ γε.) Ora δέ γε è raro in PH (tre occorrenze),
mentre è frequente
in M VII-IX (147 occorrenze), dove
rimpiazza spesso il semplice δέ
di PH. Perciò lo stile di
Diogene qui si accorda con lo stile di PH
piuttosto che
con quello di M. Alla luce di questa considerazione,
se
supponiamo che Diogene abbia seguito Sesto dobbiamo supporre an-
che che
frequentemente, senza apparente motivo, e in casi assoluta-
mente banali egli
abbia modificato lo stile di M, così che il suo
testo
sarebbe venuto a coincidere con quello di PH. Ma non
possiamo ipotiz-
zare che Diogene abbia “deliberatamente” adattato M ad uno stile del
tipo di PH, né
d’altra parte che tale adattamento sia avvenuto “per
caso”. Dunque Diogene nei
paragrafi 97-99 non segue M IX. La conclu-
sione da trarre
è piuttosto che tanto Diogene quanto Sesto seguono
una fonte comune e, inoltre,
che Diogene è più vicino alla fonte
comune di quanto non lo sia M. Infatti le differenze di M rispetto a
PH possono essere considerate soltanto come un ulteriore
allontana-
mento dalla fonte di partenza, visto che Diogene coincide con PH per
questo aspetto. La fonte comune «è preservata in una
forma più vicina
all’originale dal più recente Diogene che dal più antico Sesto,
che Dio-
gene ammirava, ma non conobbe, o almeno non usò» (Janáček [3],
p.
146).
Questa conclusione secondo Janáček è applicabile all’intera
dosso-
grafia pirroniana di Diogene (in realtà ai paragrafi 70-108). Se si
ag-
giunge a ciò il punto di vista di Janáček riguardo all’ordine e
al
carattere degli scritti di Sesto si perviene alla seguente
conclusione
generale. C’era un’esposizione del pirronismo ora perduta
accessibile
tanto a Sesto quanto a Diogene. Non si può non chiamare tale Quelle
«Q». Q sarebbe stata usata almeno quattro volte. Una
prima volta da
Sesto per PH: nel complesso Sesto sarebbe
qui assai vicino a Q, anche
se comparirebbero già alcuni tocchi del suo stile
caratteristico. Una
seconda volta Q sarebbe stata usata sempre da Sesto per M VII-IX,
anche se qui lo stile è molto più elaborato e
l’adattamento è più libero.
Una terza volta Sesto l’avrebbe impiegata per alcune
parti di M I-VI,
dove sono osservabili ulteriori alterazioni stilistiche che la
allontane-
rebbero ancor più da Q. Infine Q sarebbe stata adoperata da
Diogene
in IX 70-108, che sarebbe più vicino ad essa anche di PH, trattandosi
forse addirittura di una trascrizione letterale.
— 410 —
Le conclusioni di Janáček sono della massima importanza per
la
nostra valutazione di Diogene come storico. Se la fonte principale
di
Diogene è Q, diviene obbligatorio supporre che almeno nella Vita di
Pirrone egli fosse poco più di uno scriba40 e adottare una posizione
vicina a quella che ho caratterizzato
come radicalismo ingenuo.
Ma le conclusioni di Janáček sono ancora più importanti per
la
nostra valutazione di Sesto, perché egli stesso finisce per essere
princi-
palmente un copista, anche se, almeno in M, era in
grado di rielaborare
stilisticamente il testo cui attingeva. Il punto di vista di
Janáček su
Sesto non si fonda soltanto sul confronto con Diogene. Egli ha
discusso
alcuni passi di M V che hanno un preciso
riscontro nel libro IV della
Confutazione di tutte le
eresie di Ippolito41. La maggior parte
degli
studiosi ha supposto che Ippolito abbia copiato da Sesto. Janáček usa
un
argomento esattamente analogo a quello che abbiamo or ora esposto
per
concludere che Ippolito copiò da un’opera perduta Contro
l’astro-
logia che anche Sesto seguì con i suoi tipici abbellimenti
stilistici.
Quale che sia il loro valore dimostrativo, le argomentazioni
di
Janáček colpiscono il lettore. Inoltre egli ha sicuramente ragione su
una
questione fondamentale di metodo, giacché è solo attraverso una
prolungata e
dettagliata indagine stilistica, quale è quella da lui con-
dotta, che possiamo
giungere alla comprensione dei modi di composi-
zione preferiti da Diogene e da
Sesto. Gli altri metodi più grossolani,
che studiosi più indolenti
comprensibilmente preferiscono, sono al con-
fronto privi di valore. Proprio per
questa ragione non posso qui discu-
tere la posizione di Janáček con la speranza
di poterla trattare adeguata-
— 411 —
mente. Ciò richiederebbe un esame di tutte le minuziose prove
che
egli ha raccolto, anche con riferimento alle altre parti delle opere
di
Diogene e di Sesto.
Tuttavia può essere utile fare, a titolo di prova, alcuni
commenti
scettici. Consideriamo i primi tre esempi di differenze significative
fra
Diogene e Sesto addotti da Janáček 42. Ho già menzionato il primo
di
essi: Diogene in un luogo ha δέ mentre Sesto usa δέ γε. Il secondo
esempio
è assai simile: c’è un luogo in cui Diogene ha δέ (IX 98
(485.24)), là dove Sesto
ha ἀλλὰ μήν (M IX 209). Il terzo esempio
è il seguente: in
un caso Diogene usa ὄv (IX 98 (486. 5)) mentre Sesto
ha καθεστώς (M
IX 214). Janáček mostra che in ciascuno di questi
casi
l’uso di Diogene va d’accordo con il modello di PH.
Si potrebbe pensare che il primo esempio non debba impressionare
più
di tanto: δέ è una particella piuttosto comune e chiunque avesse
seguito M senza usarlo come testo da copiare avrebbe potuto
rispar-
miare una goccia d’inchiostro scrivendo δέ invece di δέ γε. Per
spiegare
il δέ di Diogene poi non serve addurre il fatto che M spesso ha δέ γε
là dove PH ha δέ.
Il secondo e terzo esempio potrebbero essere trattati nello
stesso
modo: che cosa c’è di più naturale per uno che segua M di ridurre
ἀλλὰ μήν a δέ e καθεστώς a ὄv? Ma in questi due casi i
confronti di
Janáček sono in qualche misura fuorvianti. Nel terzo esempio non
si
tratta soltanto di sostituire ὄv a καθεστώς, dato che Diogene
sostituisce
καὶ τὸ λοιπὸν σῶμα ὄν a πάντως καὶ τὸ λοιπὸν σῶμα καθεστώς.
In
effetti πάντως scompare e καθεστώς è ridotto ad una parola più
semplice. Daccapo
ciò è tipico di una persona che segue un testo senza
copiarlo e quindi non
abbiamo bisogno di invocare né PH né Q per
spiegare il
modo di procedere di Diogene. Il secondo esempio è ancora
diverso. Diogene
scrive: οὐ πάρεστι δὲ πρὸς ὅ νοεῖται τὸ αἴτιον, mentre
— 412 —
Sesto ha: ἀλλὰ μὴν οὐκ ἔχει τὸ αἴτιον οὗ ἔστιν αἴτιον. È
fuorviante
parlare qui di una “sostituzione” di ἀλλὰ μὴν con δέ, giacché i
due
enunciati sono nel loro complesso l’uno la parafrasi dell’altro e
ciascuno
di essi, si può aggiungere, si adatta perfettamente al contesto.
Nessuna di queste osservazioni capovolge o può capovolgere
qual-
cuna delle conclusioni di Janáček . Piuttosto vorrei suggerire due
piccoli
caveat. In primo luogo alcuni degli esempi
addotti da Janáček possono
essere facilmente spiegati supponendo che Diogene
segua Sesto però
senza copiarlo. In secondo luogo altri esempi non sono proprio
quello
che essi sembrano essere e non dimostrano necessariamente una
pre-
ferenza per uno stile più vicino a PH che a M. Rimane possibile che
Diogene abbia copiato Q per i
Cinque Modi, mentre altrove abbia
seguito Sesto stesso.
Se passiamo a considerare i Dieci Modi, troveremo prove con-
clusive per asserire che in questo caso Diogene non ha
seguito Sesto.
I Dieci Modi, come del resto i Cinque Modi, sono enumerati tanto
da Diogene
quanto in PH. A differenza di quel che avviene per i
Cin-
que Modi, i Dieci Modi sono presi in considerazione da molti
altri
scrittori: in effetti sono discussi da Favorino e da Plutarco, sono
fami-
liari ad Aristocle e sono usati in un passo del trattato Sull’ubriachezza
di Filone43. Diogene non avrebbe avuto difficoltà a mettere le
mani
su un testo da copiare.
Vi sono quattro significative differenze fra Sesto e Diogene
nel
loro trattamento dei Modi. Innanzitutto gli esempi illustrativi
sono
diversi nei due resoconti. Sebbene la versione di Sesto dei Modi
sia
cinque volte più lunga di quella di Diogene e contenga un numero
di gran
lunga maggiore di esempi, in Diogene compaiono esempi, alcuni
dei quali piuttosto
ricercati, che non figurano in PH. Nel Modo riguar-
dante
le disposizioni per esempio, Diogene fa riferimento allo stoico
— 413 —
Teone di Titorea e allo schiavo di Pericle (IX 82). Teone non è
men-
zionato in PH e in effetti è sconosciuto al di fuori
di Diogene. L’aned-
doto dello schiavo di Pericle è raccontato da Plinio e da
Plutarco, ma
ad esso non allude Sesto.
In secondo luogo il Modo della relatività è completamente
diverso
nelle due esposizioni. La questione è un po’ complicata, e qui è
suffi-
ciente riportarne la conclusione, poiché gli argomenti a favore di
essa
sono stati proposti altrove44. La versione sestana del Modo della relatività
ha parecchi
aspetti peculiari rispetto alla versione degli altri nove Modi.
Le peculiarità
sono spiegate con l’ipotesi secondo la quale Sesto avrebbe
tratto il Modo della
relatività dai “Cinque” Modi e lo avrebbe inserito
fra i “Dieci” Modi, spostando
quindi il Modo originale della relatività.
Il Modo originale — il Modo della relatività di Enesidemo —
era
stato compendiato e conservato da Diogene, la cui esposizione non
rivela
alcuna delle particolarità di quella di PH.
In terzo luogo la struttura argomentativa dei Modi differisce
in
alcuni casi da un’esposizione all’altra. Come ho già osservato, il
testo
di Diogene è così conciso che spesso non siamo in grado di
discernere
in esso granché di una struttura argomentativa. Tuttavia di alcuni
Modi
possiamo congetturare la struttura e, almeno in un caso, essa è
com-
pletamente chiara.
Il primo Modo, che procede dalle differenze fra gli animali,
ci
spinge a sospendere il giudizio su varie questioni sulla base del
fatto
che le cose appaiono diverse ai diversi animali. La bandiera rossa
è
davvero rossa? Non possiamo dirlo perché essa appare rossa agli
uomini,
ma appare grigia ai tori e non abbiamo motivo per preferire
l’apparenza
umana a quella taurina.
La difficoltà nel primo Modo è la seguente: come possiamo
sup-
porre che le cose appaiono davvero diverse ai diversi animali? Io so
— 414 —
che questo tabacco aromatico risulta inodore ad un altro uomo
perché
egli me lo dice. Ma come faccio a sapere che odore esso ha per il
mio
gatto? Pertanto il materiale esemplificativo raccolto nel primo
Modo
consiste non di esempi della maniera in cui le cose appaiono agli
ani-
mali, ma di aneddoti e argomentazioni volti a mostrare che le cose
di
fatto appaiono diverse ad animali diversi.
mento, come abbiamo detto, è quello per cui, a causa delle differenze
fra gli animali, non sono le stesse le impressioni che li colpiscono a
partire dagli stessi oggetti. Noi inferiamo ciò sia dalle loro differenze nel
modo di riproduzione, sia dalla varietà nella costituzione del corpo »
(i 40). Come questo passo promette e il seguito conferma, Sesto pro-
pone due linee di ragionamento, che possono essere rappresentate
come segue:
Il primo argomento sembra del tutto sciocco, giacché la premessa non
è rilevante per la conclusione. Invece il secondo argomento è cogente,
o almeno lo è se si suppone che la « struttura corporea » alluda speci-
ficamente alla struttura dell’apparato percettivo degli animali (cfr.
I 44).
Il testo di Diogene è più complesso. Egli dice che da questo
Modo
«si deduce che <gli animali> non ricevono le medesime
impressioni
dai medesimi oggetti e che perciò un tale conflitto genera
necessaria-
mente la sospensione del giudizio. Infatti (γάρ) degli esseri
viventi
alcuni si generano senza mistione [...], altri con l’unione dei corpi
[...].
Poiché (διό) anche le loro sensazioni differiscono [...]. È logico
dunque
(εὔλογον oὖv) che alla differenza della facoltà visiva corrisponde
la
differenza delle impressioni » (IX 79). È chiaro che Diogene offre
qui
un unico argomento continuo. Le osservazioni sulla riproduzione
sono
equivalenti alla proposizione (1) nell’argomento (A) di Sesto.
Come
mostra la frase successiva, le osservazioni sulla percezione si
fondano
sulla struttura fisica degli organi di senso e, perciò, esse sono
equi-
— 415 —
valenti grosso modo alla proposizione (2) dell’argomento (B) di
Sesto.
Quindi Diogene propone il seguente argomento:
Quest’argomento di sicuro non è del tutto vincolante. Tuttavia mi sem-
bra migliore dei due argomenti di Sesto e, in ogni caso, è incontroverti-
bilmente diverso da essi.
dice espressamente che l’ordine dei Modi non è fisso {PH ι 38) 45 e
Diogene fa esplicitamente riferimento al diverso ordinamento di Sesto.
Dopo aver abbozzato in due linee il nono Modo (IX 87), Diogene
osserva:
τὸν ἐνατὸν Φαβωρῖνος ὄγδοον, Σέξτος δὲ καὶ Αἰνεσίδημος δέκατον,
ἀλλὰ καὶ τὸν δέκατον Σέξτος ὄγδοόν φησι, Φαβωρῖνος δὲ ἔνατον.
Questo passo fornisce cinque informazioni distinte:
— 416 —
Sappiamo da Sesto (M VII 345) — o almeno
riteniamo di sapere —
che Enesidemo diede un resoconto, presumibilmente il
primo, dei
Dieci Modi, ma non abbiamo alcuna informazione che corrobori
(o
pregiudichi) il punto (c). Inoltre sappiamo da Aulo Gellio (XI 5, 5)
che
Favorino scrisse dieci libri sui Modi pirronisti, ma, daccapo, non
abbiamo
nessun’altra prova per i punti (a) ed (e).
Sesto ci è pervenuto. Con riferimento a PH il
punto (d) è vero,
ma il punto (b) è falso, giacché il nono Modo di Diogene è
pure in
PH il nono e non il decimo. Piuttosto è il
quinto Modo di Diogene
che risulta il decimo in PH.
Alcuni studiosi concludono da ciò che
Diogene ha commesso un errore, mentre
altri suppongono, più ragione-
volmente, che i suoi copisti abbiano sbagliato.
Perciò Hirzel aggiunge
τὸν πέμπτον dopo Αἰνεσίδημος e quindi sostituisce a (b)
un enunciato
che risulta vero rispetto a PH
(naturalmente egli altera anche (c))46.
Tuttavia è possibile che né Diogene né i suoi copisti si
siano sbagliati,
come ha fatto presente Pappenheim47. Non siamo obbligati a considerare
(b) e (d) come riferiti a PH: forse Diogene si rifa ai
libri perduti di M
e forse sia (b) che (d), così
come stanno nei manoscritti, sono veri in
rapporto a questi libri48.
Il passo del paragrafo 87 di Diogene prova, come del resto
indicano
decisamente le altre differenze che ho menzionato, che Sesto non è
né
il modello da cui Diogene copiava né la sua fonte principale per i
— 417 —
Dieci Modi. Inoltre possiamo fare due ulteriori inferenze dal
para-
grafo 87: Diogene non segue Enesidemo e non segue Favorino.
Queste
inferenze sono a mio parere importanti. Se dovessimo scegliere
al
buio il testo che Diogene avrebbe copiato, dovremmo sicuramente
indi-
care o Enesidemo (l’autorità primaria per i Dieci Modi, che
Diogene
altrove ha la pretesa di citare), oppure Sesto (la nostra autorità
princi-
pale per i Modi è un personaggio per lo meno noto a Diogene),
oppure
Favorino (che è uno degli autori più citati da Diogene)49. Tuttavia Dio-
gene di
sicuro non ha seguito nessuna di queste fonti di spicco.
È possibile che nel resoconto sui Dieci Modi Diogene abbia
co-
piato, o almeno seguito, Q, il testo ipotetico che Janáček ha
postulato?
Questa possibilità non è sicuramente confutabile, anche perché
non
possiamo confrontare il presunto testo di Q con il passo di
Diogene.
Ma Q è la fonte solo a due condizioni che sono in conflitto con la
tesi
generale di Janáček, e precisamente a condizione che Diogene
stesso
abbia aggiunto il riferimento a Sesto nel paragrafo 87 e, ancora,
a
condizione che Sesto non abbia seguito Q nel suo resoconto dei
Dieci
Modi.
Qualunque sostenitore del radicalismo estremo o della
grande
fonte Q deve ad un certo punto arrischiarsi a dare un nome a
quest’opera
perduta così importante che Diogene avrebbe servizievolmente
copiato
per noi. Per stabilire l’identità di Q dovremmo certamente
rivolgerci
in primo luogo alle quattordici auctoritates
filosofiche effettivamente
nominate da Diogene. Tre di esse — Sesto, Enesidemo
e Favorino —
sono già state eliminate. Potrebbe darsi che Diogene le avesse
cono-
sciute tutte e tre di prima mano; tuttavia nessuna di esse
rappresenta
il testo da cui avrebbe copiato almeno per quanto riguarda i
Dieci
Modi. Altri tre autori — Filone di Atene, Nausifane e Timone50,
— 418 —
contemporanei più giovani di Pirrone — sono troppo antichi.
Riman-
gono Agrippa, Antioco, Apella, Ascanio, Menodoto, Numenio,
Teo-
dosio, Zeussi. Nessuno di questi è noto per aver fornito
un’esposi-
zione del pirronismo e cinque o sei di essi sono per noi soltanto
nomi51.
Ciascuno di
questi otto potrebbe essere Q e forse dobbiamo
restare
fermi a questa conclusione52. Ma di fatto uno
degli otto ha trovato
paladini presso un numero sufficiente di studiosi
eminenti53.
— 419 —
Gli scritti che Nietzsche ha dedicato a Diogene sono
sempre
brillanti e di quando in quando perversi54. Egli ha
sostenuto che pra-
ticamente l’intera opera di Diogene è copiata da Diocle di
Magnesia.
Tuttavia secondo Nietzsche Diocle non potè avere questo ruolo
per
quanto riguarda la dossografia su Pirrone per motivi puramente
cro-
nologici55. Ma allora da chi copiò Diogene l’esposizione del
pirronismo?
— 420 —
«Sicuramente da uno scettico» è la risposta di Nietzsche56; «proba-
bilmente» da Teodosio.
Corrispondentemente Nietzsche suggerisce che
il nome di Teodosio debba essere
restituito in un passo corrotto del
paragrafo 79.
Non sappiamo quasi niente di Teodosio57. Egli scrisse un’opera
chiamata Capitoli
Scettici che Diogene conobbe e parafrasò (IX 70) ed
— 421 —
è probabilmente da identificare con il medico empirico Teodosio
che
scrisse un commento a Teoda e che quindi sarebbe vissuto nel II
secolo
d.C.
Teodosio potrebbe essere stato la fonte
principale di Diogene. Ma
possiamo dire qualcosa di più di questo? Le
argomentazioni con le
quali i paladini di Teodosio sperano di identificarlo
con Q sono a mio
parere pressoché tutte senza valore58.
Possiamo sostenere l’identità
— 422 —
soltanto se accettiamo la congettura di Nietzsche nel paragrafo
79.
Questa congettura non è un buon complemento, ma non necessario,
alla
ipotesi teodosiana. Al contrario, l’unica ragione sostenibile per cre-
dere
che Teodosio sia stato la fonte di Diogene è che Diogene si rife-
risca a lui
in questi termini e l’unica ragione per pensare che Diogene
si riferisca a lui
sta nelle ragioni in favore della congettura di Nietzsche.
Nel passo cruciale i manoscritti principali hanno:
Αἱ δ' ἀπορίαι […] ἃς ἀπεδίδοσαν ἦσαν κατὰ δέκα τρόπους, καθ' οὓς
τὰ
ὑποκείμενα παραλλάττοντα ἐφαίνετο. τούτους δὲ τοὺς δέκα
τρόπους καθ' οὓς τίθησιν
ἓν [om. dg, ὧν φ]
πρῶτον [πρῶτος dgφ] ὁ παρὰ τὰς διαφορὰς
κτλ.
Chiaramente il testo dell’ultimo periodo è corrotto: καθ' οὓς non
ha
senso. L’edizione principe ometteva καθ' οὓς e l’ultima edizione,
quella
— 423 —
di Long negli Oxford Classical Texts ugualmente riporta: τούτους
δὲ
τοὺς δέκα τρόπους τίθησιν [...]. L’omissione di καθ’ οὕς è in se
stessa
abbastanza facile, giacché l’espressione può essere semplicemente
una
ripetizione negligente del καθ’ οὕς del periodo precedente. Ma il
testo
che ne risulta non è soddisfacente59. Esso dovrebbe presumibilmente
significare:
«Egli pose questi Dieci Modi». Ma questa è un’asserzione
oziosa e, quel che
più importa, il riferimento del pronome « egli », il
soggetto di τίθησιν, è
del tutto oscuro. (Non possiamo pensare a Pir-
rone come soggetto: egli non è
stato menzionato da parecchie pagine
e in ogni caso Diogene sta dando ora una
descrizione generale del pirro-
nismo. Enesidemo è stato ricordato una decina
di righe prima60, ma
>il riferimento è comunque lontano e, in ogni caso, Diogene non
espone
la versione dei Modi propria di Enesidemo.)
Nietzsche ha suggerito: τούτους δὲ δέκα τρόπους καὶ Θεοδόσιος
τίθησιν
[...]. Egli ha pertanto indicato un soggetto di τίθησιν e ha
riscattato la
frase dalla sua oziosità. Inoltre, per quel che vale, possiamo
facilmente
immaginare come καὶ Θεοδόσιος si sia potuto corrompere in
καθ’ οὕς, sopratutto
se Diogene abbreviava Θεοδόσιος in Θεο.
La congettura è attraente61, ma non è
obbligatoria, tant’è vero
che sono possibili altre soluzioni del problema
testuale. Per esempio,
ci potrebbe essere una lacuna nel testo, nascosta
dall’intrusione di
καθ’ οὕς, là dove Diogene nominava parecchi autori a
proposito dei
Modi. Ancora, il singolare τίθησιν potrebbe stare erroneamente
per il
plurale τιθέασιν62. Certamente ci saremmo aspettati un
plurale qui,
— 424 —
dopo ἀπεδίδοσαν e prima dei plurali impersonali che troviamo
nel
corso della dossografia. Un testo plausibile potrebbe essere il
seguente:
τούτους δὲ τοὺς δέκα τρόπους οὕτως τιθέασιν. Πρῶτος [...].
Non
penso che esso sia meno probabile dell’emendamento di Nietzsche.
Comunque, per finire, si consideri la possibilità che Nietzsche
abbia
ragione nel suo emendamento. Certamente non possiamo inferire da
ciò
che Diogene abbia semplicemente copiato il testo di Teodosio
sui Modi. Infatti
il testo di Nietzsche non dice e neppure suggerisce
che Diogene abbia seguito
Teodosio. Se si introduce la parola οὕτως,
leggendo καὶ ὁ Θεοδόσιος (οὕτως)
τίθησιν, la lezione che risulta
suggerisce che Diogene abbia usato Teodosio
come fonte primaria. Ma
anche se è così, questa lezione ipotetica non prova
che Diogene abbia
effettivamente copiato da lui. Ancor meno il testo di
Nietzsche
stabilisce la sua tesi più forte, secondo la quale tutto il
resoconto del
pirronismo fatto da Diogene deriverebbe da Teodosio cosicché Q
non
sarebbe nient’altro che Teodosio. Nulla allude a questa
conclusione,
nemmeno alla lontana. Anche se Diogene avesse detto
esplicitamente
che egli prendeva i Dieci Modi da Teodosio, non potremmo
inferire
assolutamente niente sulle sue fonti per quanto riguarda la sua
esposi-
zione del resto del pirronismo63.
Questa discussione del quesito (d), ossia dell’originalità di
Dio-
gene, è stata assai tortuosa. Riassumendola possiamo dire così: (I)
il
passo nel paragrafo 102, là dove Diogene allude alle συντάξεις pirro-
— 425 —
niane, suggerisce che non abbia attinto da un’unica fonte per
l’intera
dossografia sul pirronismo. (II) Il resoconto dei Cinque Modi o
deriva
da Sesto o è copiato da Q, la fonte comune di Diogene e di PH,
e la seconda possibilità è più probabile. (III) Gli
studi dettagliati di
Janáček suggeriscono che Diogene abbia usato Q anche per
altre parti
della dossografia, ma le argomentazioni di Janáček non sono
fuori
discussione e di sicuro non stabiliscono che Q sia la fonte unica
per
tutta la dossografia. In particolare si può supporre che Diogene
abbia
qua e là usato anche Sesto. (IV) Il resoconto dei Dieci Modi
mostra
che Diogene non segue qui né Enesidemo né Sesto né Favorino.
È
possibile, ma non plausibile, che la fonte sia sempre Q. È anche
possi-
bile che il resoconto sia opera personale di Diogene.
Come condurre a fine questa indagine? Non ritengo che
siamo
ancora nella posizione di risolvere questi problemi. Il lavoro di
Janáček
deve essere prima proseguito ed anche sottoposto ad un esame
detta-
gliato. Così questo mio scritto è senza una conclusione. Spero che
sia
tollerabile, perché « di coloro i quali compiono indagini filosofiche
alcuni
dicono di aver trovato la verità, altri dichiarano che non può
essere
attinta e altri che stanno ancora cercandola ».
Questo articolo risulta da numerose discussioni sul pirronismo con Julia
Annas:
se il contenuto possiede qualche valore, ciò è dovuto a lei. Ringrazio
anche
Jacques Brunschwig, Fernanda Decleva Caizzi, Marcello Gigante, Hans
Gottschalk
e Charles Kahn, che hanno offerto utili commenti nel corso della
discussione a
Amalfi. Siano cordialmente ringraziati anche Mario Mignucci, che
ha tradotto molto
gentilmente una versione inglese di maniera, nonché Carol
Clark, che ha corretto
con gran cura la versione penultima, e Anna Maria
Ioppolo, che ha pazientemente
condotto una prova generale della mia
relazione.
Nella colonna di Sesto le cifre sottolineate indicano una
corrispon-
denza parola per parola (o quasi) con Diogene. Le cifre normali
e
senza parentesi indicano che si trova nei due autori lo stesso
materiale,
ma non le stesse parole. Le cifre entro parentesi quadre indicano
una
connessione di pensiero e le parentesi quadre doppie una remota
con-
nessione di argomento.
— 426 —
74-77 (476.15-478.4)
(477.18-20)
[PH I 187-208; II 1-10]
PH I 206; II 188; M VIII 480 Fonti delle ἀντιθέσεις:
78 (478.5-15)
(478.5-6)
PH I 8 I Dieci Modi:
79-88 (478.16-482.6)
[PH I 40-163] I Cinque Modi:
88-89 (482.7-22)
(482.18-20)
PH I 164-169
PH I 169 Contro le prove:
90-91 (482.23-483.15)
(483.9-10)
(483.10-12)
[[PH II 144-192; M VIII 337-
481]]
[PH II 171-174; Μ VII 337A-339]
PH II 183-184; M VIII 380 Contro i dogmatici:
92-94 (483.16-484.15)
(484.11-15)
[[PH I 170-171]]
[M VIII 51-54] Contro il criterio:
94-95 (484.16-485.3)
(484.16-21)
[[PH II 18-78; M VII 263-446]]
PH II 20 Contro i segni:
96-97 (485.4-18)
(485.4-5)
(485.5-6)
(485.8-10)
(485.10-15)
(485.15-16)
[[PH II 97-133; M VIII 159-298]]
M VIII 176-177
M VIII 188
M VIII 171
M VIII 172-175
PH II 119; M VIII 165
— 427 —
97-99 (485.19-486.13)
(485.19-20)
(485.21-486.1)
(486.1-11)
[[PH III 13-29; M IX 195-330]]
M IX 207-208
M IX 209
M IX 210-217 Contro il movimento:
99 (486.14-17)
PH III 71, II 242; M X 87 Contro l’apprendimento:
100 (486.18-22)
Μ I 10-14; PH III 256-258;
Μ XI 219-223 Contro la generazione:
100 (486.23-25)
PH III 112; M X 326-327 Contro il naturalismo etico:
101 (487.1-11)
M XI 69-75; [PH III 179-182] Nota sulle fonti:
102 (487.12-15) Gli scettici sono dogmatici?
102-104 (487.16-488.8)
[[PH I 13-15]] Gli scettici rigettano la vita?
104-105 (488.9-24) Il criterio scettico:
106-107 (489.1-17)
[[PH I 21-22]] Il τέλος scettico:
107-108 (489.17-490.6)
(489.17-18)
(489.22-490.5)
[PH I 25-30]
PH I 29
M XI 162-166
Non prenderò in considerazione lo scetticismo accademico, dato che le due principali
varietà dello scetticismo antico sono sufficientemente diverse da richiedere trattazioni
separate. Inoltre il resoconto diogeniano dello scetticismo accademico è povero di
contenuto filosofico, a differenza di quel che avviene per lo scetticismo del
pirronismo.
(“Hypomnemata”, 56), Goettingen 1978, pp. 351-4. Cfr. inoltre sotto nota 4.
Einzelschriften”, 40), Wiesbaden 1978, pp. 2-7, 50-2.
τῶν εἰς τοὺς σίλλους ὑπομνήματι (IX 109) fosse rilevante a questo proposito,
dato che ὁ παρ’ ἡμῶν significa «auch wie ich ein Skeptiker» (U. von Wilamowitz-
Moellendorf, Antigonos von Karystos, (“Philologische Untersuchungen”, 4)
Berlin 1881, p. 32). Quindi un lettore imprudente potrebbe inferire che Diogene
fosse uno scettico. Ma gli studiosi sono meno ingenui. (I) Lo stesso Wilamowitz
riconobbe che Diogene non era un seguace di Pirrone. Quindi l’espressione è
παρ’ ήμων si riferisce non a Diogene, ma alla sua fonte scettica e naturalmente
Diogene era un copista troppo malaccorto o troppo trascurato per accorgersi che
egli avrebbe dovuto omettere o cambiare queste parole. (II) Altri danno una
interpretazione diversa dell’espressione. Essa significherebbe « il mio concittadino »
o «il mio parente» e Diogene non direbbe di essere uno scettico, ma la sua
provenienza da Nicea (cfr. l’articolo di J. Mansfeld in questo volume) o la sua
appartenenza alla famiglia degli Apollonidi (cfr. J. Mejer, op. cit., p. 46 nota 95).
(III) Altri ancora preferiscono emendare il testo: Menagius più modestamente
ha proposto è ὁ πρὸ ήμών, mentre Nietzsche ha suggerito più spettacolarmente
ὁ παροιμιογράφος. (Si veda inoltre F. Decleva Caizzi, Pirrone. Testimonianze,
Napoli 1981, pp. 208-9; M. Gigante, Diogene Laerzio: Vite dei Filosofi, Roma-
Bari 1983, 3a ed., p. 567 nota 264). Quale che sia la verità circa ὁ παρ’ ἡμῶν
non c’è traccia nel passo di uno scetticismo diogeniano. In effetti non c’è la
minima ragione per credere che Apollonide fosse un seguace del pirronismo. Per
quel che mi è dato di sapere, gli studiosi l’hanno dichiarato uno scettico solo
perché egli scrisse un commento ai Silli di Timone e questa non è di certo una
buona ragione. Nella discussione a Amalfi, Marcello Gigante ha richiamato l’atten-
zione su I 20, là dove Diogene insiste che il pirronismo è veramente una αἵρεσις:
forse è un’indicazione da parte di Diogene che egli parteggia per lo scetticismo.
Se si vogliono cercare motivi del perché Diogene abbia incluso questa nota sulla
αἵρεσις pirroniana, la quale deriva probabilmente da Enesidemo (cfr. J. Glucker,
op. cit., p. 179 nota 41), si può anche ipotizzare che egli abbia voluto giustificare
la presenza del pirronismo nel suo libro sulle vite e opinioni di ciascuna αἵρεσις(
sul titolo dell’opera di Diogene si veda M. Gigante, op. cit., p. XCVI). Gli studiosi
continuano a domandarsi con preoccupazione: “A quale scuola filosofica Diogene
appartenne?”. La risposta potrebbe anche essere: “A nessuna”, dato che un
interesse filosofico non implica l’adesione ad una scuola. Si pensi a Galeno i cui
interessi e le cui conoscenze filosofiche superarono di gran lunga quelli di Diogene.
Cfr. M. Gigante, op. cit., p. XV: «Diogene Laerzio non appartenne a nessuna
scuola filosofica, ma fu uomo di molti libri. Non può considerarsi un filosofo
sistematico, ma un uomo aristotelicamente curioso della vita e della dottrina dei
filosofi eminenti».
(il suo entusiasmo per Antigono lo portò a congetture infondate); K. von Fritz,
s.v. Pyrrhon (1), in RE XXIV (1963) coll. 88-93; G. A. Ferrari, Due fonti sullo
scetticismo antico, «Studi Ital. di Filologia Classica», XL (1968) pp. 200-24 e le
note pertinenti in F. Decleva Caizzi, op. cit. Vi sono scarsi cenni alla filosofia
nelle sezioni non filosofiche della Vita: IX 61 (il resoconto di Ascanio: v. sotto
nota 51); IX 62 (il punto di vista di Enesidemo secondo il quale lo scetticismo
di Pirrone era una posizione filosofica e non implicava stranezze sul piano pratico:
cfr. J. Barnes, The Beliefs of a Pyrrhonist, «Elenchos», IV (1983) pp. 5-43);
IX 68 (Numenio: v. sotto nota 24); IX 70 (Teodosio: v. sotto nota 57 e nota 58).
ΟΙΟΝ δόγματος προσηγορεύοντο); si veda anche I 19-20 insieme con Sext.
Emp. PH I 13-17.
Modi speciali contro l’etiologia (PH I 180-186). Questi due gruppi di Modi ci
sono noti solo da Sesto. I Due Modi sono di solito tralasciati in quanto non
molti importanti; si veda tuttavia Janáček [6] (v. sotto nota 38 che elenca i
titoli di questo autore cui qui si fa riferimento). Gli Otto Modi hanno lasciato
tracce interessanti nella letteratura pirronista (cfr. J. Barnes, Scepticism and Causa-
tion, in M. F. Burnyeat (ed.), The Skeptical Tradition, Berkeley 1983, pp. 160-70).
Burnyeat e Frede lì citati.
zione di criterio nel paragrafo 106 non corrisponde a quella del paragrafo 94».
È vero che i due riferimenti ai criteri (ad essere precisi non sono “definizioni”)
non si corrispondono, ma ciò non è sorprendente: il paragrafo 94 riguarda il
criterio di verità, mentre il paragrafo 106 ha a che fare con il criterio d’azione e
questa distinzione era usuale (cfr. Sext. Emp. PH I 21; II 14; ecc.).
degli argomenti [della dossografia], essi hanno ovviamente origini diverse». Se
egli vuol dire che è “ovvio” che Diogene usi fonti diverse per argomenti diversi,
posso dire solo che ciò non risulta ovvio a me. (Le mie rimostranze sono solo
per la parola “ovvio”, che suggerisce, credo falsamente, che gli argomenti siano
messi insieme malamente.)
(Oxford 1964) i cui numerosi difetti e manchevolezze sono ben noti (cfr. M.
Gigante, op. cit., pp. lxviii-lxx). Non so quanto accurati siano i riferimenti di
Long ai manoscritti per il libro IX. Di sicuro i suoi riferimenti a congetture di
studiosi sono spesso pesantemente errati (alcuni di questi sono riportati sotto
nelle note 12 e 59). La mia argomentazione, poiché riguarderà in parte questioni
testuali, è aperta alla possibilità di revisione, forse ad una revisione drastica, con
riferimento all’edizione critica di Diogene che tutti aspettiamo. Il più recente
studio sul testo a me noto è contenuto nella prefazione dell’edizione di V 36-57
di M. G. Sollenberger, Diogenes Laertius 5.36-57: The Vita Theophrasti, in
W. W. Fortenbaugh, Theophrastus of Eresus (“Rutgers University Studies in
Classical Humanities”, 2), New Brunswick (N.J.) 1985. Ma il resoconto di Sol-
lenberger non è rilevante specificamente per la Vita di Pirrone. Nella prefazione
dell’edizione di VII 43-83 curata da U. Egli (Das Dioklesfragment bei Diogenes
Laertius, Sonderforschungsbereich 99 Linguistik, Universität Konstanz, n. 55.
Konstanz 1981) si trova proposto il seguente stemma:
Se esso è corretto, allora le lezioni di Φ, dello ps.Esichio e
della Suda debbono
essere prese in attenta
considerazione per il libro IX. Infatti il passo dello ps.Esichio
(FHG IV p. 174) contiene una lezione rilevante (IX 64
(471.3): ἐξοδικῶς codd.,
διεξοδικῶς ps.Esich.). Nella Suda si vedano gli articoli seguenti: ἐποχή = IX 61
(469.22);
μᾶλλον μᾶλλον = IX 75 (477.2-10); οὐδὲν μᾶλλον = IX
74-76
(476.15-477-17) + 79 (478.17-18); πυρίβια = IX 79 (478.23-479.1);
Πυρρώνειοι
= IX 69-70 (473.21-475.4). Le differenze fra la Suda e i manoscritti di Diogene
devono essere tutte spiegate
come errori da parte della Suda oppure dei copisti
della
Suda. L’articolo Πύρρων corrisponde a IX
61 (469.16-470.4), ma Diogene non
ne è la fonte. L’articolo τίς δ’ οἶδεν
cita due righe di Euripide che si trovano anche
in Diogene, IX 74
(475.17-18). L’articolo σημεῖον, citato da Long ad IX
96, non
è rilevante.
Segnalo solo alcuni passi in cui, per quanto mi è dato di sapere, o i
problemi
testuali non sono stati ancora percepiti o le loro soluzioni non
sono ancora state
trovate (vedi inoltre sotto nota 30). IX 70 (474.5): ἀπὸ
τοῦ τοὺς δογματικοὺς
ἀπορεῖν καὶ αὐτούς (καὶ αὐτούς ed. pr., om. FΦ, καὶ αὐτούς δέ BP). Ciò non
ha senso: lo scetticismo non è
detto «aporetico» perché «gli stessi dogmatici
sono in difficoltà». (F. Decleva Caizzi, op. cit., p. 99,
traduce: «aporetica dal
fatto che sia i dogmatici, sia essi stessi,
sollevano aporie». Ma non vedo come
« sia ... sia ... » trovi fondamento
nel testo. Questo punto non è importante,
perché in entrambe le traduzioni
l’osservazione non ha senso.) Per il senso
richiesto cfr. Sext. Emp.
PH I 7. Nessun emendamento semplice funziona e
la
frase dovrebbe essere asteriscata. IX 78 (478.14): il senso richiede
<μὴ>
θαυμαζόμενα (v. J. Annas, J. Barnes, The Modes of Scepticism, Cambridge
1985, p. 186). IX
79 (478.16): invece di τὰς συμφωνίας si deve leggere τῆς
συμφωνίας (Reiske) ο
τὰς διαφωνίας (Annas-Barnes, op. cit., p. 186). IX
79
(478.19): su questo passo vedi sotto pp. 422-3. IX 82 (479.23): παρὰ τὸ
πνεῖν.
Il senso è oscuro; forse bisogna leggere παρὰ τὸ πονεῖν. IX 83
(480.5): καὶ
τεχνικὰς συνθήκας (codd.). Τεχνικάς non ha senso: Menagius
propone ἐθικάς
invece di τεχνικάς e ha di certo ragione. Συνθήκας non è al di
sopra di ogni
sospetto: cfr. Annas-Barnes, op. cit., p. 187. (Long ha καὶ τὰς ἐθνικὰς
συνθήκας,
attribuendolo a Menagius. A dire il vero l’edizione di Menagius
ha ἐθνικάς,
ma si tratta sicuramente di un errore di stampa. La lezione di
Long è assurda.)
IX 85 (481.9): ὁ γοῦν ἥλιος [...] πόρρωθεν φαίνεται (codd.
plerique): Kuehn
propone πόρρωθεν <μικρός>, Long ha μικρός invece di
πόρρωθεν (attribuendolo
a Kuehn), Menagius modifica πόρρωθεν in διπόδης.
Piuttosto è meglio leggere
ποδιαῖος invece di πόρρωθεν. Cfr. Annas-Barnes, op. cit., pp. 187-8.
IX 96
(485.8): ἐπεὶ τὸ νοητόν κτλ. non ha senso. Σημεῖον al posto di
νοητόν
restituisce il senso, ma lascia inesplicato νοητὸν δ’ οὐκ ἔστιν nella
linea prece-
dente. Vi è una lacuna nel testo e quindi bisogna scrivere:
ἐπεὶ τὸ νοητόν
<... ἔτι δὲ τὸ σημεῖον> ἤτοι κτλ. IX
98 (485.21-22): daccapo il testo trasmesso
non ha senso. Il primo argomento
contro le cause in (485.19-21) finisce con
μόνον. Come dimostra il preciso
parallelo di Sext. Emp. M
IX 209, ἐπεὶ εἴπερ
ἐστὶν αἴτιον deve introdurre un secondo
argomento e ciò è quel che avviene
nelle edizioni più antiche, che pongono
un punto e non una virgola dopo μόνον.
Bisogna cambiare ἐπεί in ἔτι (o
eliminare ἐπεί e leggere εἴπερ τε o qualcosa
di simile). In (485.22) ἐπεὶ
οὐκ ἔσται αἴτιον deve voler dire «poiché (altrimenti)
non sarà una causa».
La stessa espressione si trova in M IX 209 e quindi
deve
essere conservata a causa del parallelismo (ἐπεί + μὴ ἔχον Bekker + εἰ
μὴ
ἔχει Bury), IX 98 (486.2): si legga ἀσωμάτου <ἢ ἀσώματον σώματος ἢ
σῶμα
ἀσωμάτου> con R. Hirzel, Untersuchungen zu Ciceros philosophischen Schriften,
III, Leipzig 1883, p. 139 nota 1; cfr. Janáček
[1], pp. 53-54. IX 107 (489.12):
invece di στρογγύλου ἢ τετραγώνου si
legga στρόγγυλος ἢ τετράγωνος (scil.
φαντασία), IX
107 (489.16): τιθέναι ὅτι φαίνεται. L’argomento è incoerente:
οτε al posto
di οτι restituisce il senso. Il pirronista dice: «non dobbiamo porre
entrambe le φαντασίαι della torre allo
stesso tempo; noi poniamo i φαινόμενα
quando si
verificano». IX 108 (490.1): ὡς δυνήσεται βιοῦν [...] μὴ
φεύγων.
Non riesco a dare un senso a ciò. Ὡς <οὐ> δυνήσεται è
migliore, ma è probabile
che ὡς δυνήσεται βιοῦν sia stato interpolato da
(490.3), per cui dovremmo
leggere, per esempio, (ὡς δυνήσεται βιοῦν) τὸν
σκεπτικὸν μὴ φεύγειν.
parr. 96-97 costituisca un’eccezione a questa verità di carattere generale. Infatti
mentre i suoi argomenti attaccano i segni tout court, Sesto distingue accuratamente
fra i segni ὑπομνηστικά e i segni ἐνδεικτικά e insiste nel dire che egli attacca
solo questi ultimi (si veda recentissimamente D. Glidden, Skeptic Semiotics,
«Phronesis», XXVIII (1983) pp. 213-55). Diogene dunque omette una parte vitale
della posizione pirronista? Ne dubito. L’attacco di Sesto contro i segni è proble-
matico nel senso che i suoi argomenti appaiono diretti contro i segni di ogni
forma, anche se la sua posizione ufficiale ammette i segni “commemorativi”. È
possibile che i primi pirronisti respingessero i segni tout court e che Sesto per
primo abbia introdotto nella posizione dei pirronisti la distinzione fra i segni.
In questo caso Diogene presenterebbe correttamente una forma diversa di pirro-
nismo. (II) Nel par. 91 Diogene offre un breve argomento contro la prova e
Sesto sembra respingerlo. In M VIII 337 A Sesto dice che se cerchiamo di attaccare
la nozione di prova attaccando prove “particolari”, ἀμέθοδον ποιησόμεθα τὴν
ἔνστασιν ἄπειρων οὐσῶν τῶν τοιούτων ἀποδείξεων. Nel par. 91 (483.9-10)
Diogene dice che «se le dimostrazioni particolari sono (tutte) indegne di fede,
necessariamente anche la dimostrazione generale deve essere respinta come non
valida». Quindi egli avalla l’argomento che Sesto respinge. Potrebbe essere che
il passo di Diogene interpreti male la posizione pirronista sulle prove generali e
particolari; tuttavia mi sembra altrettanto probabile che ancora una volta qui
il pirronista di Diogene differisca da quello di Sesto.
argomenti di Janáček; cfr. sotto, pp. 402-11.
non sono conservate altrove.
in modo grossolano e vago di Quellen; cfr. J. Barnes, Cicero’s de fato and a
Greek Source, in J. Brunschwig, C. Imbert e J. Roger (edd.), Histoire et
Structure: à la mémoire de Victor Goldschmidt, Paris 1985.
106, 107), Favorino (IX 87), Sesto (IX 87), Agrippa (IX 88), Nausifane (IX 102),
Numenio (IX 102), Zeussi (IX 106), Antioco (IX 106), Apella (IX 106).
(IX 115). Le altre fonti sono: Apollodoro (IX 61), Alessandro (IX 61), Antigono
(IX 62, 110, 111, 112), Eratostene (IX 66), Posidonio (xx 68), Apollonide (IX 109),
Sozione (IX 109, 112, 115), Ippoboto (IX 116), Filarco (IX 116). Alcuni di questi
ultimi possono aver discusso aspetti filosofici del pirronismo.
(con bibliografia, alla quale va aggiunto M. R. Stopper, Schizzi Pirroniani,
«Phronesis», XXVIII (1983) p. 270). Vi sono tre testi da prendere in considera-
zione, tutti in Diogene. (I) IX 102: Diogene fa capire che Numenio scrisse una
σύνταξις del pirronismo e asserisce che egli fu uno dei συνήθεις di Pirrone.
Ma la lista dei συνήθεις include anche Enesidemo, che non fu certamente un
contemporaneo di Pirrone: o Diogene usa la parola συνήθης nel senso di « sim-
patizzante » e non nel senso di «compagno», oppure la lista contiene almeno un
errore grave. Quindi o il passo tace la cronologia di Numenio oppure esso è
sicuramente confuso. A ogni modo, anche se il testo è corretto, il par. 102 non
fornisce una prova affidabile per un Numenio contemporaneo di Pirrone. (II) IX 68:
«Solo Numenio dice di lui [scil. Pirrone] che anche dogmatizzò». La caratte-
ristica più strana di questa singolare testimonianza è raramente commentata:
essa, così com’è, è completamente fuori posto nel contesto, tanto che dobbiamo
sospettare una qualche forma di corruzione del testo. Comunque sia, la frase
non dà alcuna indicazione sulla datazione o sull’identita di Numenio. (III) IX 114:
συνεχές τε ἐπιλέγειν εἰώθει [scil. ὁ Τίμων] πρὸς τοὺς τὰς αἰσθήσεις μετ' ἐπι-
μαρτυροῦντος τοῦ νοῦ ἐγκρίνοντας, Συνῆλθεν ἀτταγᾶς τε καὶ νουμήνιος.
Questo è uno scherzo, o almeno una battuta, diretta sicuramente contro gli
epicurei. Il ἀτταγάς e il νουμήνιος sono uccelli di specie simili (si veda la
dotta nota di Menagius, ad loc.) e la frase metrica era detta proverbialmente dei
ladri. Timone vuol dire che se si unisce il pensiero alla percezione, si ottiene solo
una coppia di criminali. Wilamowitz ritiene che lo scherzo sarebbe inintelligibile
se la parola νουμήνιος non contenesse un riferimento indiretto al pirronista
Numenio. Questo riferimento non solo non è richiesto, ma renderebbe di fatto
oscuro lo scherzo. (Se osservando una femminista e un’ecologista in combutta
dicessi: «Gente della stessa pasta», la comprensione di questa mia battuta non
sarebbe aiutata dal sapere che faccio riferimento, sia pure indirettamente, a un
direttore di banca conservatore di nome Pasta.) Nel par. 114 non c’è nessun rife-
rimento ad alcun Numenio.
nel senso di «generale». Jacques Brunschwig ha proposto invece «dettagliato»
e se egli ha ragione le mie osservazioni sul par. 102 non sono valide giacché
Diogene stesso non ha dato un’esposizione “dettagliata” del pirronismo. (II) Prendo
la parola συναγωγή come sinonimo di ἀγωγή. Gigante la traduce con «deduzioni
conclusive» e la sua traduzione (a parte il plurale) dà un senso più normale
alla parola. Come parallelo per il senso da me preferito posso finora citare soltanto
Philostorgius hist. eccl. ΙΙΙ 14.
che l’autore non ha copiato da una σύνταξις. Ma chi è l’autore? Non è necessa-
riamente Diogene, giacché egli avrebbe potuto copiare questa frase stessa da una
fonte qualunque.
è falsa, il passo di sicuro non implica che Diogene abbia copiato da una σύνταξις
pirroniana.
δεικτικῶς in IX 77 (equivalente all’ ἀπαγγελτικῶς, di Sesto, per esempio in
PH Ι 197), προαποδεικνύντες (IX 78), ἐδείκνυον (IX 79).
— ma la corruttela è forse più estesa: Kuehn ha proposto <κατα>λαμβάνεσθαι;
si può anche considerare ἀλλὰ <πάντα>, cfr. PH I 135), 58 (βέβαιοῖ codd.
plerique, βεβαιῶν ed. pr.), e 61 (τό codd., τοῦ Rossius).
presumibilmente da Sesto Empirico».
(477.17), 85 (481.3), 86 (481.15), 88 (482.5), 91 (483.14), 95 (485.2), 101
(487.11). Sesto evita questa terminologia. Un pirronista può naturalmente dire:
“Non conosco questo o quello”, ma non può dire: “Questo o quello è incono-
scibile”, perché ciò sarebbe un “dogmatismo negativo”. In pratica i buoni pir-
ronisti dicono spesso che le cose sono “inconoscibili”: in PH Ι 200 Sesto dice
come ciò debba essere interpretato. Ciononostante il linguaggio di Diogene mi
sembra qui marcatamente diverso da quello di Sesto.
Agrippa», ma piuttosto o «Agrippa e i suoi seguaci» oppure, più probabilmente,
«Agrippa» (si veda S.L. Radt, Noch einmal Aischylos, Niobe Fr. 162N (278M),
«Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik», XXXVIII (1980) pp. 47-58). Espres-
sioni della forma di οἱ περὶ τὸν δεῖνα sono perifrasi normali che stanno per
ὁ δείνα; tuttavia vi sono studiosi che persistono nel ravvisare in esse l’indicazione
di scuole e di discepoli. È come se uno prendesse οἱ τῶν Πυθαγορείων παῖδες
come riferita ai figli dei pitagorici.
Ἀγρίππαι. Non abbiamo nessun altro rinvio ad Apella. Si è ipotizzato che Agrippa
non fosse altro che un personaggio (immaginario) dell’opera di Apella.
che ricorre nel quinto Modo e che è una semplice variante di καθ’ ὅν nel primo
Modo e di ἐν ὧι nel secondo e nel terzo Modo. Piuttosto è rilevante che qui ὧταν
è seguito non da una spiegazione del Modo, ma da un’asserzione riguardante le
circostanze in cui esso è appropriato.
dal fatto che altri partiranno da ipotesi contrarie». Il futuro «partiranno» corri-
sponde esattamente all’ ὑποθήσεται di Diogene, ma penso che qui il futuro di
Diogene ha un senso potenziale: se un dogmatico asserisce “P” come pura ipotesi,
possiamo ipotizzare “non-P” con uguale giustificazione.
Laertius and Sextus Empiricus, «Eunomia» = «Listy Filologické», supp. 3 (1959)
pp. 50-8; [2] Diogenes Laertius IX 101 und Sextus Empiricus Μ IX 69-75(-78),
in F. Stiebitz-R. Hošek (edd.), Charisteria F. Novotný octagenario oblata, “Opera
Universitatis Purkynianae Brunensis” (Facultas philosophica) vol. 90, Prague 1962;
[3] Πρὸς τῶι bei Sextus Empiricus und Diogenes Laertius, «Philologus», CVI
(1962) pp. 134-7; [4] Zur Würdigung des Diogenes Laertios, «Helikon», VIII
(1968) pp. 448-51; [5] Τὰ δέκα τῶν Σκεπτικῶν, in J. Irmscher-B. Doer-U.
Peters-R. Mueller (edd.), Miscellanea Critica: aus Anlass des 150jahrigen
Bestehens der Verlagsgesellschaft ... B. G. Teubner, Leipzig 1964; [6] Skeptische
Zweitropenlehre und Sextus Empiricus, «Eirene», VIII (1970) pp. 47-55; [7]
Zum Stil des Diogenes Laertios, “Sborník Prací Filosofické Fakulty Brněnské
University”, Řada Archeologicko-Klasická E 24 (1979) pp. 35-9. Molto vicini sono
anche: [8] Novopythagorský Text u Sext a Empirika, in Studia Antiqua Antonio
Salač septuagenario oblata, Prague 1955; [9] Hippolytus and Sextus Empiricus,
«Eunomia», III (1959) pp. 19-21; [10] Eine anonyme skeptische Schrift gegen
die Astrologen, «Helikon», IV (1964) pp. 290-6. Gli altri articoli di Janáček, le
sue monografie su Sesto e il suo preziosissimo Index contengono tutti materiale di
rilievo. (Per una bibliografia degli scritti di Janáček fino al 1975 si veda «Graeco-
latina Pragensia», VII = «Acta Universitatis Carolinae (Philologica)», II (1976)
pp. 13-21.)
afferma che i suoi risultati «non significano in alcun modo che Diogene fosse solo
un copista» (p. 448). Inoltre, con riferimento a IV 1, egli osserva che «Diogene
si vanta della stessa qualità che egli sottolinea nei filosofi [ossia la φιλοπονία], io
credo a ragione » (p. 449). Tutto dipende da quel che si intende per «solo un
copista»: secondo la teoria di Janáček Diogene è tutt’al più un accurato e laborioso
copista, ma sempre appunto un copista.
(In effetti Diog. Laert. IX 75 e 87 potrebbe suggerire che dovremmo leggere <οὐ>
θετικῶς; d’altra parte si veda, forse, Cic. parad. stoic. proem 5.) Il senso gene-
rale è comunque chiaro: non bisogna insistere sull’ordine. (In realtà l’ordine di
almeno i primi quattro Modi è logicamente determinato, come le stesse osservazioni
di Sesto chiariscono: PH Ι 79, 91, 100.)
duti da uno o più libri corrispondenti a PH I: cfr. K. Janáček, Die Hauptschrift
des Sextus Empiricus als Torso erhalten?, «Philologus», CVII (1963) pp. 271-7;
J. Blomqvist, Die Skeptika des Sextus Empiricus, «Grazer Beiträge», II (1974)
pp. 7-14. Blomqvist mostra convincentemente che τὰ δέκα τῶν σκεπτικῶν men-
zionati da Diog. Laert. IX 116 sono gli originali dieci libri (ossia rotoli) di M.
Si noti che la parte di M corrispondente a PH I doveva essere notevolmente più
ampia.
mano: cfr. J. Mejer, op. cit., p. 29 nota 61.
su Menodoto cfr. sotto, nota 53; su Teodosio si veda sotto, nota 57. Antioco è
noto solo per i riferimenti nei parr. 107 e 116. Zeussi è presumibilmente lo Ζεῦξις
ὁ γωνιόπους del par. 116. Egli potrebbe essere identificato con il medico Zeussi
(si veda K. Deichgraeber, Die griechische Empirikerschule, 2a ed., Berlin-Zürich
1965, p. 209), ma non ci sono forti motivi per una tale identificazione. Ascanio
di Abdera ci è noto solo grazie a Diog. Laert. IX 61: ὅθεν γενναιότατα δοκεῖ
[scil. ὁ Πύρρων] φιλοσοφῆσαι, τὸ τῆς ἀκαταληψίας καὶ ἐποχῆς εἶδος εἰσα-
γαγών, ὡς Ἀσκάνιος ὁ Ἀβδηρίτης φησίν. οὐδὲν γὰρ ἔφασκεν οὔτε καλὸν κτλ.
La misura del debito di Diogene a Ascanio non è determinata dal testo, ma, per
quanto capisco, non c’è motivo per attribuire ad Ascanio nulla di più della notizia
che Pirrone «introdusse la forma della non-apprensione e della sospensione» (la
frase si trova anche nella Suda, s.v. ἐποχή, e in psEsichio, ma Ascanio non è
menzionato): ὅθεν γενναιότατα κτλ. potrebbe derivare da Ascanio e così pure,
ma con una probabilità ancora minore, οὐδὲν γάρ κτλ. (parafrasato nella Suda, s.v.
Πύρρων), mentre solo τὸ ... εἰσαγαγών proviene sicuramente da lui. Mueller ha
suggerito che Ἀσκάνιος sia un errore per Ἐκαταῖος, e cioè che Diogene abbia
in realtà attinto da Ecateo di Abdera, il discepolo immediato di Pirrone (cfr. IX 69).
La congettura è infondata e pochi studiosi l’hanno accettata, ma sembra che abbia
lasciato una traccia dietro di sé, giacché gli studiosi frequentemente suppongono
che Ascanio fosse forse un immediato scolaro di Pirrone. Perciò al resoconto
di Ascanio viene attribuita una considerevole importanza. In realtà la sola cosa che
sappiamo della datazione di Ascanio è che è anteriore a Diogene Laerzio. Per una
discussione di questo punto cfr. part. G. A. Ferrari, op. cit., pp. 218-20 e F.
Decleva Caizzi, op. cit., pp. 135-6. (Ma l’ultima parola in proposito era già stata
detta da Menagius: « Nescio qui fuerit, albus an ater homo».)
genes used II cent. AD sources for at least the Platonic and Sceptical doxographies».
I, Berlin 1938, p. 309 nota 1, suggerisce che Menodoto fosse la fonte di Diogene,
almeno per quel che riguarda il par. 107. (Per Menodoto, un eminente medico
empirico sul quale possediamo qualche informazione, si veda K. Deichgraeber,
op. cit., pp. 212-4.) U. Burkhard, Die angebliche Heraklit-Nachfolge des Skep-
tikers Ainesidem, Frankfurt a.M. 1973, p. 14 nota 4 osserva con ragione che il
suggerimento di Schmekel è «unbewiesen und unbeweisbar».
XXIII (1868) pp. 632-53; XXIV (1869) pp. 187-228; Analecta Laertiana, «Rheinisches
Museum», XXV (1870) pp. 217-31; Beiträge zur Quellenkunde und Kritik des Dio-
genes Laertius, Basel 1870. Questi lavori sono ora reperibili nell’edizione critica
dei Werke di Nietzsche a cura di G. Colli e M. Montinari (vol. II 1, a cura di
F. Bornmann e M. Carpitella, Berlin 1982). Il Nachlass di Nietzsche contiene
un numero immenso di articoli, annotazioni, schizzi, congetture, ecc. su Diogene:
si veda voll. IV e V dell’edizione Beck (München 1934). Cfr. M. Gigante, Friedrich
Nietzsche nella storia della filologia classica, «Rendiconti dell’Accademia di Ar-
cheologia Lettere e Belle Arti di Napoli», LIX (1984) pp. 5-46; J. Barnes, Nietzsche
and Diogenes Laertius, «Nietzsche Studien», XV (1986) pp. 16-40.
quell’epoca, esso non potè derivare da Diocle che era più antico. L’argomento di
Nietzsche presuppone che ogni parola di Diogene sia presa da qualcun altro.
Ma Diogene avrebbe potuto abbastanza facilmente copiare una fonte precedente a
Sesto e tuttavia aver aggiunto egli stesso la nota nel par. 87 (cfr. J. Mejer, op. cit.,
p. 7 nota 16). Quale che sia la datazione del testo da cui Diogene avrebbe copiato
(ammesso che ve ne sia stato uno), possiamo ancora ritenere che il suo resoconto
rifletta una versione dei Dieci Modi precedente a Sesto. In realtà credo che sia
proprio questo il caso (si vedano le osservazioni sul Modo della relatività sopra,
p. 412-3). Anche K. von Fritz, op. cit., pp. 101-4, sostiene che il resoconto dioge-
niano dei Dieci Modi riflette uno stadio del pirronismo antecedente a quello ri-
specchiato nel resoconto di Sesto. Egli suggerisce che originariamente, prima di
Enesidemo, esistesse un insieme di cinque Modi e sostiene che essi risalgono allo
stesso Pirrone sulla base della presenza di elementi “democritei” nelle prime loro
illustrazioni. Senza dubbio vi è materiale democriteo in alcuni esempi, ma i pirro-
nisti raccoglievano da ogni parte i contenuti dei loro esempi. Le speculazioni di
von Fritz si librano molto al di sopra dell’evidenza.
tico; infatti nelle argomentazioni contro i dogmatici egli parla sempre in prima
persona plurale, con “noi” ecc.» (Werke, II 1, p. 207). La prima persona plurale
nei parr. 74-77 è irrilevante, perché «noi» non significa «noi scettici», ma è posta
all’interno di una specie di dialogo. Così il par. 103 si apre con: πρὸς οὗς [scil.
τοὺς δογματικούς] ἀποκρίνονται· Περὶ μὲν ὧν ὡς ἄνθρωποι πάσχομεν, ὁμολο-
γοῦμεν [...] Qui la terza persona ἀποκρίνονται isola effettivamente tutte le succes-
sive prime persone. Se scrivessi: «I socialisti rispondono: “Siamo uomini di sani
principi ...”», non si potrebbe inferire che io stesso sia un socialista. Cfr. anche
E. Maass, De biographis graecis quaestiones selectae (“Philologische Studien” 3),
Berlin 1880, p. 5 nota 1.
Theodosios (3), in RE V A 2 (1934), coll. 1929-1930. Oltre al riferimento in Diogene,
vi sono un breve passo del cod. Haun. Lat. 1653 (cfr. K. Deichgraeber, op. cit.,
p. 41) e un articolo nella Suda, s.v. Θεοδόσιος, che di sicuro confonde almeno due
persone. F. Nietzsche, Werke, II 1, p. 207, dice che Teodosio «war ein Gegner
der Pyrrhoneischen Skepsis. Seine Behauptungen, Pyrrho sei nicht der Urheber der
Skepsis und habe kein Dogma, werden im Laertius dargelegt und hinterdrein
ausführlich bewiesen. Dass er nach Sextus lebt, zeigt die deutliche Polemik gegen
Hypotyp. I 3 [cioè PH I 7], die er vor sich hat». Teodosio, per quel che ne sap-
piamo, non fu «un oppositore dello scetticismo pirronista»; egli sostenne sempli-
cemente che gli scettici non dovrebbero chiamarsi pirronisti. Diogene riferisce
tre argomenti in favore di questa opinione non ortodossa (ma essenzialmente
cavillosa): (I) non possiamo conoscere lo stato mentale di nessun altro, per cui
non possiamo conoscere la διάθεσις di Pirrone; quindi non dovremmo chiamarci
pirronisti. (II) Pirrone non fu il primo scopritore dello scetticismo; (ma una filosofìa
che prende il nome da un filosofo dovrebbe scegliere come suo eponimo il primo
fondatore). (III) Pirrone non aveva una dottrina (mentre uno dovrebbe dirsi X-ista
solo se condivide le dottrine di X) (cfr. I 19-20). Tutti i pirronisti avrebbero
accettato la prima premessa di ciascun argomento. Teodosio sembra muoversi al-
l’interno della scuola, partendo da premesse pirroniste e giungendo ad una con-
clusione leggermente offensiva (οὐδὲ Πυρρώνειοι καλοίμεθ’ ἄν — si noti la prima
persona). Ad essere precisi, non possiamo essere sicuri né che Teodosio fosse un
pirronista né che non lo fosse. Per quanto riguarda Sesto quello che segue è il
passo rilevante di PH Ι 7: ἡ σκεπτικὴ τοίνυν ἀγωγὴ καλεῖται [...] Πυρρώνειος
ἀπὸ τοῦ ΦΑΙΝΕΣΘΑΙ ἡμῖν τὸν Πύρρωνα σωματικώτερον καὶ ἐπιφανέστερον
ΤΩΝ ΠΡΟ ΑΥΤΟΥ προσεληλυθέναι τῇ σκέψει. Le due frasi in lettere maiuscole ri-
spondono implicitamente ai primi due argomenti di Teodosio (mentre il terzo trova
risposta, sempre implicitamente, in Ι 16-17). Invece di riscontrare in Teodosio una
«deutliche Polemik gegen Hypotyp. Ι 3», viene la tentazione di prendere PH l 7
come una deliberata risposta a Teodosio. In questo caso Teodosio precederebbe
Sesto (si veda F. Decleva Caizzi, op. cit., p. 201).
p. 137 nota 1; E. Pappenheim, Die angebliche Heraklitismus des Skeptikers Aene-
sidemos, Berlin 1889, p. 9; K. von Fritz, Pyrrhon, cit., Janâček [3]; U. Burkhard,
op. cit., p. 12; F. Decleva Caizzi, op. cit., p. 203. Von Fritz, il quale pensa che
Teodosio sia «probabilmente» la fonte dell’«albero genealogico» dei parr. 71-73
e, «almeno non improbabilmente», la fonte dell’intera dossografia sul pirronismo,
presenta due argomenti di nessun valore: « la stretta connessione con la precedente
citazione [di Teodosio nel par. 70] e la menzione di Ippocrate [nel par. 74] fra
i primi scettici». Egli aggiunge anche un riferimento al suo precedente articolo
su Teodosio in RE, evidentemente dimenticando che lì egli aveva rifiutato aperta-
mente l’ipotesi che Teodosio fosse la fonte principale di Diogene. Poiché l’articolo
Pyrrhon di von Fritz gode di grande stima, devo osservare che esso è in certe
parti largamente fondato su speculazioni e stranamente privo di riferimenti. Burk-
hard sostiene che Teodosio è la fonte dell’albero genealogico sulla base, evidente-
mente insufficiente, del fatto che «der Abschnitt 70-73 ist nicht anders als eine
Explikation der Ansicht, die Diog. Laert. in 70 Theodosius zuschreibt». Una con-
siderevole parte dell’argomentazione svolta nella monografia di Burkhard, per altro
eccellente, dipende purtroppo da questo assunto. Janáček osserva giustamente che
i suoi predecessori non avevano fornito buone motivazioni a sostegno di Teodosio,
ma anche le sue ragioni sono prive di valore. In [3] egli sostiene che «Diogene
ha tratto da un’unica fonte le dottrine scettiche contenute nel testo dal par. 70
fino forse alla fine del libro IX» (p. 136), e ritiene che questa fonte sia Teodosio.
La prova di Janáček è la seguente: nel par. 70, in una citazione letterale di Teo-
dosio (<474.10>), Diogene usa πρὸς τῶι nel senso di πρὸς τούτοις; lo stesso uso
di πρὸς τῶι si ritrova anche nel par. 91 (483.9) e nel par. 95 (484.21). Al di
fuori di questi passi πρὸς τῶι si incontra una sola volta nell’intero corpus della
letteratura greca, precisamente in Sext. Emp. PH ΙΙΙ 74. La conclusione è che
questo strano uso di πρὸς τῶι doveva essere una peculiarità della fonte scettica
comune a Diogene e a Sesto e che, quindi, Diogene adopera la stessa fonte, ap-
punto Teodosio, nei parr. 70, 91 e 95 e, plausibilmente (?), in tutto il corso dei
parr. 70-116. (Cfr. inoltre M. Gigante, op. cit., [nota 4], p. 565 nota 225.) L’argo-
mento non è valido sotto due rispetti. In primo luogo anche se nel par. 70 è
usata l’oratio obliqua (l’accusativo + infinito), ciò non prova (con buona pace di
Janáček [3] p. 135) che Diogene citi Teodosio alla lettera. Al contrario ciò prova
che Diogene non lo cita parola per parola. Dopo tutto una delle principali diffe-
renze fra l’oratio recta e l’oratio obliqua è proprio che quest’ultima non si ripro-
mette di riprodurre le parole della fonte. Quindi ιλ par. 70, se suggerisce qualcosa,
suggerisce che πρὸς τῶι era un capriccio dello stile di Diogene. In secondo luogo
non vi è comunque nessuna oratio obliqua nel par. 70, giacché il πρὸς τῶι di
Janáček è un’espressione fantasma, nel senso che non ha un’esistenza reale. In
tutte e quattro le occorrenze che Janáček cita abbiamo la consueta costruzione
greca di πρός + dativo, che significa “in aggiunta a”. Il τῶι in ogni singolo caso
regge l’infinito che segue. Pertanto nel par. 70 la costruzione non è πρὸς τῶι
(= πρὸς τούτοις), ... εὑρηκέναι (accusativo + infinito), ma πρὸς (preposizione)
τῶι ... εὑρηκέναι (infinito nominale). Aggiungo due codicilli. (I) Il par. 70, se
non usa l’oratio obliqua, non usa neanche l’oratio recta: Diogene si basa su Teo-
dosio, ma non dà a vedere di citarlo. (II) I quattro enunciati introdotti da πρός
(τῶι + inf.) risultano strani nella misura in cui sono usati come se fossero unità
grammaticalmente indipendenti. Ma una cosa di questo genere non è una caratte-
ristica inusitata dello stile telegrafico di Diogene.
Cob(etus)». L’espunzione fu compiuta da Isaac Casaubon il quale osservava che
l’intervento lascia il testo in uno stato insoddisfacente. Egli aveva suggerito:
τούτων δὲ τῶν δέκα τρόπων οὕς τίθησιν εἷς πρώτος κτλ.
e domandarsi quale forza esso possa avere. Ma si veda sopra, nota 26 e soprattutto
IX 61 <469.16>, 69 (473.13).
segue testimonianze tarde leggendo ὧν πρῶτος κτλ. Πρῶτος è certamente richie-
sto, mentre ὧν è forzoso. Forse ἓν è quel che resta di un εα scritto sopra l’η
di τίθησιν.
l’albero genealogico con la formula ἔνιοί φασιν. Ciò implica chiaramente che egli
non usa più Teodosio: perché mai dovremmo rifiutare questa implicazione? (De-
cleva Caizzi nota la difficoltà. Ella suggerisce, non convincentemente, che la parola
ἔvιοι non si riferisce forse a Teodosio ma che «fosse usata da lui nella sua opera
e riportata da Diogene».) Penso che dovremmo prendere sul serio il plurale di
Diogene, ἔνιοι: l’albero genealogico menziona Omero e Euripide due volte e
questo mostra che esso fu collazionato da fonti diverse (e perché mai non da
Diogene?).
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